venerdì, 26 Aprile 2024
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NUOVO STUDIO SU CONSERVAZIONE VINO IN ANFORE VINARIE DEL TARDO IMPERO ROMANO

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Il consumo di vino nell’antica Roma era onnipresente, disponibile non solo per aristocratici e imperatori ma anche per artigiani,  schiavi, contadini, uomini e donne allo stesso modo. Eppure, anche se attraverso le fonti , gli storici e gli archeologi sapevano come i Romani mantenessero il loro vino, sicuro  e pieno di sapori, non era chiaro esattamente  come accadesse questa circostanza

Un nuovo studio archeobotanico pubblicato sulla rivista scientifica PLOS ONE rivela dettagli su questi metodi e modi di conservazione.

I ricercatori dell’Università La Sapienza a Roma e dell’Università di Avignone, Francia, hanno esaminato tre anfore vinarie romane del tipo tardo greco-italico, Dressel e Lamboglia, di VI secolo d.C. usate per il trasporto del vino, rinvenute in un deposito di fondale marino trovato presso San Felice Circeo, a circa 90 chilometri a sud-est di Roma.

Per lo studio, guidato dalla chimica Louise Chassouant, i ricercatori  che hanno utilizzato metodi provenienti dall’archeobotanica , lo studio archeologico dei resti vegetali, e  sono stati in grado di determinare come gli antichi romani producessero vino e quali elementi utilizzassero nel processo.

Osservando i depositi chimici trovati all’interno delle anfore, i residui di tessuto vegetale e il polline, i ricercatori sono stati in grado di determinare quali derivati ​​dell’uva venivano usati ma anche, soprattutto, come i popoli antichi erano in grado di isolare le loro brocche e impermeabilizzarle.

Lo studio ha scoperto che la resina di pino sia stata utilizzata per creare una sorta di catrame impermeabilizzante per ricoprire l’interno delle anfore vinarie e non solo ma ha anche ipotizzato che ciò avrebbe potuto essere fatto per aromatizzare l’uva in fermentazione.

È interessante notare che lo studio ha anche stabilito che, poiché il pino non era locale, sarebbe stato probabilmente importato dalla Calabria o dalla Sicilia, aggiungendo credito alle prove archeologiche e storiche esistenti dei legami commerciali tra le province dell’impero anche 1.500 anni fa.

Nel complesso, gli autori hanno sottolineato che l’ormai immancabile utilizzo di un approccio multidisciplinare sia stata la chiave per le loro scoperte. Osservando non solo l’analisi chimica ma anche i documenti storici e archeologici, i resti di piante e il metodo di realizzazione delle singole anfore, abbiano spinto alla conclusione che scavalchi la comprensione delle pratiche antiche, molto superiore a quanto sarebbe stato con un singolo approccio.

Con questa nuova ricerca, tutte gli studi sulle ricerche del mondo dionisiaco antico e sugli amanti del vino a Roma potrebbero essere a un passo dalla comprensione, anche se la strada da percorrere, ricca di confronti e nuove ricerche, è lunga da percorrere.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

 

Vino italico

2 pensieri riguardo “NUOVO STUDIO SU CONSERVAZIONE VINO IN ANFORE VINARIE DEL TARDO IMPERO ROMANO

  • Armelle d’Hendecourt

    Caro Professore, grazie per tutte le meraviglie archeologiche che c’i fa condividere con passione, questa delle anfore specialmente perché ho trovato per strada buttata perché era rotta, un anfora romana che ho messo in giardino e riparata c’era ancora il sigillo di piombo, da allora mi sono interessata al tipo di anfora, che è probabilmente romano. Ho guardato la foto , C’era una sembra corrispondere a la mia? Certo il vino a quel’ epoca non aveva gli stessi criteri di oggigiorno, mi fa piuttosto pensare al vino greco di oggi

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    • Daniele Mancini

      Cara Armelle, grazie per leggermi. Il vino greco era leggermente più elaborato rispetto a quello romano spezzo arricchita da spezie, piante aromatiche, miele e anche alleggerito con acqua. I criteri di conservazioni sono comunque eccezionali

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