giovedì, 2 Maggio 2024
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NUOVI STUDI SUL KOTHON DI MOZIA, SICILIA

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Lorenzo Nigro, docente dell’Università La Sapienza di Roma, propone una nuova interpretazione, recentemente pubblicata sulla rivista Antiquity, sul kothon della colonia fenicia di Mozia, nella Sicilia meridionale, identificato all’inizio del XX secolo come un “porto artificiale”. Secondo Nigro, la monumentale vasca rettangolare era stata male interpretata e secondo i studi potrebbe essere identificata come un gigantesco bacino artificiale sacro in onore di Baal, che operò durante il periodo fenicio della città, dall’VIII al V secolo a.C.

Dopo le sue prime ricerca del 2014, Nigro osserva che la vasca, probabilmente, svolgeva anche un ruolo astronomico e i nuovi ritrovamenti ad essa associati sottolineano la natura multiculturale della città. Infatti, il kothon d’acqua dolce era il centro di un monumentale complesso religioso con tre templi, circondato da una cinta muraria circolare.

Il sito di Mozia è stato occupato fin dalla preistoria e occupava la sponda occidentale dell’isola di San Pantaleo: circa 2.800 anni fa, coloni fenici provenienti dalle coste mediterranee del Vicino oriente, approdarono sull’isola e stabilirono una presenza, convivendo con gli Elimi, i protostorici abitanti del luogo e, secondo Nigro, crearono una nuova, distinta identità culturale “fenicia occidentale”.

Il centro fenicio di Mozia fu fondata circa un secolo dopo il più celebre centro di Cartagine, nell’odierna Tunisia: con l’espansione di Mozia nella regione del Mediterraneo, le due città entrarono in conflitto. Intorno alla metà del VI secolo a.C., la potenza militare e commerciale di Cartagine e dei propri alleati condusse, con la forza, Mozia nell’orbita nordafricana.

Introno alla fine del V secolo a.C., Mozia, dotata di una nuova cinta muraria e di nuovi templi ed edifici pubblici, ebbe nuovi disastrosi scontri contro i Selinuntini nel 409 e un grande definitivo assedio subito, per opera di Dionisio I di Siracusa, nel 397.

Il kothon è stato rinvenuto e male interpretato nel 1906 dall’archeologo Joseph Whitaker. Il kothon indica un contenitore per bere  realizzato in argilla o metallo, dalla bocca tonda,  adoperato dai soldati spartani e, originariamente, arrivò a indicare il nome del gigantesco porto artificiale a forma di anello di Cartagine. Pensando di aver trovato un porto chiuso, Whitaker ha denominato questo bacino come kothon e, proprio in suo onore, Nigro ha così continuato a chiamare la struttura idrica.

Nigro pone diverse considerazioni: in epoca fenicia, il Mediterraneo era di circa 80 centimetri più basso rispetto a oggi a causa di un cambiamento climatico in atto; inoltre, con un’area di soli 37 per 52,5 metri per una profondità media di poco più di un metro, il bacino è veramente piccolo rispetto al kothon cartaginese, con un’area esterna destinata ai mercanti e un’area interna per le imbarcazioni militari, o rispetto a località fenicie come Mahdia e Kition. Di converso, rispetto alle usuali piscine sacre, il bacino è molto più grande tant’è che in epoca romana fu adoperato come allevamento di pesci e dal XVI al XVIII secolo d.C., fungeva da salina.

L’interpretazione che si trattasse di una vasca sacra è corroborata dal fatto che i luoghi di culto dei Fenici, come di molte altre civiltà, erano caratterizzati da sorgenti d’acqua naturali o artificiali per abluzioni e scopi rituali: il sacro bacino di Mozia era alimentato da ben tre sorgenti sotterranee originate da una falda acquifera, scoperte dopo che il kothon è stato drenato per effettuarne lo scavo archeologico.

Secondo Nigro, dunque, il bacino era adatto a scopi rituali e avrebbe potuto ospitare, al centro, una statua di pietra di Baal che avrebbe raggiunto un’altezza di 2,4 metri: per la musealizzazione del sito, il team di ricerca ha allestito una replica della statua di Baal proprio nella piscina e messo in evidenza il “temenos“, il recinto sacro, che circondava il complesso religioso con i tre templi e il bacino idrico.

I grandiosi templi furono scoperti durante gli scavi archeologici 2002: il grande tempio dedicato a Baal che operò dall’inizio del VIII secolo fino all’Inizio del IV secolo a.C. e, secondo Nigro, mostra i caratteri distintivi dei templi cananei del periodo; gli scavi dal 2009 al 2021 hanno svelato il “temenos” che circondava il sacro recinto, un tempo alto circa tre metri; un tempio dedicato alla dea Astarte e un edificio cultuale che Nigro ha soprannominato il “Santuario delle Acque Sante”; il santuario comprende tra l’altro un santuario e un’area per i sacrifici animali.

Nigro ritiene, inoltre, che il bacino idrico possa essere stato utilizzato per osservare e mappare le stelle, un’attività enormemente praticata da marinai come i Fenici! Lo studioso ritiene che alcune stele siano state posizionate all’interno del temenos per contrassegnare il sorgere, lo zenit o il tramonto delle stelle sull’orizzonte, grazie a una ricostruzione archeoastronomica del cielo notturno intorno al 550 a.C.

Della presunta statua di Baal posta al centro del bacino, sono stati rinvenuti, in una fossa votiva accanto all’angolo sud-est della vasca, un piede scolpito su un blocco di pietra e un’iscrizione greca dedicatoria rivolta a “Belios”.

Baal, il cui nome significa “proprietario” o “padrone”, era considerato re degli dei, dio delle stagioni e della tempesta, dio della fertilità, dio della pioggia e del tuono, il cui nome era legione; adorato da Ugarit al Nord Africa e attraverso il Mediterraneo, anatema per i sacerdoti di Yahweh, Baal sarebbe diventato Bel per gli Aramei e Belos o Belios per gli antichi greci.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: La Sapienza

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