mercoledì, 16 Ottobre 2024
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GLADIATORI, STORIA E ORIGINI – prima parte

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I gladiatori, eroi, miti, antichi e moderni, spesso visti come i paladini dell’ultimo gradino della scala sociale della società e, a volte, in tempi recenti, hanno assunto le sembianze di supereroi anche grazie ai moderni mass media.

Guardando oltre i grandi spettacoli di circhi e anfiteatri, ricchi di prodezze e sangue, la natura dei giochi gladiatori alludeva a una sorta di “istituzionalizzazione della violenza” radicata nella società romana fin dalle origini.

Non posso non partire dai munera gladiatoria, spettacoli di combattimenti gladiatori offerti in commemorazione di un defunto e che hanno dato il via ai combattimenti.

L’origine precisa è incerta, ma alcune fonti ricordano che un nobile, tale Giunio Bruto Pera, ha espresso il desiderio che per li suo funerale, avvenuto nel 264 a.C., i suoi due figli avrebbero dovuto pagare i combattimenti gladiatori nel locale mercato per celebrare la sua commemorazione.

In meno di cento anni, tali concorsi divennero piuttosto banali e normali in cui i combattenti erano generalmente schiavi di proprietà dell’organizzatore dell’evento funebre. In effetti, nel 174 a.C., uno dei munera coinvolse 74 uomini messi l’uno contro l’altro in un raccapricciante evento che ebbe luogo per ben tre giorni.

Con il passare del tempo, il munus si estese agli ambiti ludici, includendo spettacoli come la venatio, che comportava la caccia di oltre centinaia di animali esotici per le campagne romane da parte di venatores addestrati.

Esiste un lato simbolico per questa terribile storia: purtroppo per gli animali, leoni, tigri e altri predatori alludevano ai selvaggi e ai ‘barbari’ del mondo che la potente Roma aveva soggiogato o doveva farlo e, man mano che la Repubblica Romana si espandeva, la classe patrizia ha escogitato modi più nuovi e più grandiosi per commemorare la propria eredità intellettuale e sociale.

Il servizio funebre, dunque, si trasformava in una dichiarazione politica che, unita a spettacoli di sangue, presumibilmente serviva solo a testimoniare la munificenza del ricco defunto: essere avari riguardo a tali “attese” manifestazioni spesso comportava il rammarico della gente comune.

La popolarità di tali “concorsi funebri” aumentava in modo esponenziale, tanto che si sono sviluppate apposite organizzazioni per ospitare la crescente varietà di spettacoli in luoghi specializzati appositamente costruiti che sono culminati nell’ultima “evoluzione” dei giochi gladiatori.

I primi anfiteatri sono stati edificati principalmente a Roma e in altre città commerciali dell’impero, solitamente accanto al Foro e inizialmente costruiti in legno con pavimenti di sabbia.

In effetti, la stessa parola harena, che significa sabbia, ha lasciato il posto al termine arena. Problemi strutturali o sovraffollamento sono stato alcune delle principali difficoltà per gli ingegneri romani: uno degli incidenti più gravi ha visto il crollo dell’intera struttura dell’anfiteatro a Fidenae (27 d.C.).

Realizzato in legno, o per difetto di costruzione o perché eccessivamente affollato, è crollato causando la morte di molti spettatori, accorsi anche da Roma, ma anche di persone che si trovavano nelle immediate vicinanze. Tra morti e feriti ci furono oltre cinquantamila vittime e Tacito ne narra nei suoi Annales, IV, 62-63, suggerendone l’enorme aumento di popolarità di tali contesti di gladiatori che hanno preso piede in tutta Roma e dintorni.

Mentre i combattimenti gladiatori avevano i loro precursori nelle attività funerarie in cui combattevano schiavi mal equipaggiati, gli spettacoli, al massimo della loro cruenta espansione,  vedevano protagonisti una serie di figure professionali, Tra queste, gli hoplomaca, per lo più ispirati dagli opliti greci, erano una categoria di gladiatori romani pesantemente armati.

Abili nel maneggiare le loro spade corte (il gladius), questi combattenti erano addestrati per intrattenere la folla, sia che si tratti di combattimenti singoli che di battaglie organizzate all’interno dell’arena. A tale proposito, gli hoplomaca erano esperti nel prolungare la sofferenza dei loro avversari, solitamente criminali mal preparati condannati a morte nell’arena: vivevano per compiacere gli spettatori romani eccitanti e spesso spietati.

Chi era l’hoplomacus? Nella maggior parte dei casi, gli uomini e le poche donne sono stati acquistati dai fiorenti mercati degli schiavi. Alcuni di loro sono stati semplicemente venduti dai loro padroni, a causa dei loro crimini o trasgressioni passate, mentre altri erano prigionieri di guerra.

Spesso, anche uomini liberi si univano ai ranghi dei gladiatori (alcuni che avevano perso la loro eredità e altri che erano semplicemente amanti dell’azione e dei combattimenti per sentirsi osannare dalla folla…). Secondo studi recenti, si stima che circa il 20% dei gladiatori ammessi nei ludi gladiatori (le scuole dei gladiatori) erano uomini liberi della società romana.

Una volta che un soggetto veniva “bollato” come un gladiatore, era visto come un equivalente sociale di una prostituta, anche se in diretto contrasto con l’enfasi e la popolarità che attorniava i combattenti tra i cittadini, soprattutto durante i grandi spettacoli gladiatori, simili a grandi eventi sportivi del nostro tempo moderno.

La fama e la reputazione di alcuni gladiatori raggiunsero altezze così vertiginose che i loro nomi apparvero sulle mura della città, mentre nelle locande, nelle ville, nei palazzi e nei triclinia privati sorsero discussioni sulle loro vittorie e persino sull’aspetto fisico dei personaggi. Se le discussioni “da bar” non fossero bastate, la paradossale adorazione dei gladiatori prendeva forme bizzarre feticistiche, con la raccolta del loro sudore oleoso, dei panni per curare graffi e ferite, persino la compravendita di gioielli intinti nel sangue del gladiatore, tutto adoperato come afrodisiaci e pozioni riparatrici.

Al di là dello sfarzo e della gloria, altri combattenti sono stati costretti a versare il proprio sangue nelle arene del mondo romano: questi erano i noxii, i criminali che erano principalmente accusati di rapina, omicidio e stupro e quindi erano “combattenti” sacrificabili il cui unico scopo era morire all’interno delle arene, come una sorta di una macabra esecuzione pubblica.

Dopo essere stati incatenati per lunghi periodi, venivano lasciati sfilare nell’arena, specialmente durante gli spettacoli pomeridiani, davanti alle folle sbeffeggianti che chiedevano a gran voce il loro sangue, dovevano salutare l’imperatore o il magistrato con AveCaesarmorituri te salutant (letteralmente, Ave, Cesare, quelli che stanno per morire ti salutano).

L’originale svetoniano è tuttavia leggermente diverso dalla forma tramandata: “Ave imperator, morituri te salutant. L’invocazione è rivolta all’imperatore Claudio ed è pronunciata dai condannati a morte che in un’occasione unica e molto particolare, l’inaugurazione dei Cunicoli di Claudio costruiti per il prosciugamento, nel 52 d.C., del Lago Fucino e si apprestavano a partecipare alla naumachia appositamente indetta dall’imperatore romano.

Altre volte, i noxii venivano semplicemente usati come oggetti di scena viventi, disarmati o con armature da spettacolo, poi dichiarati avversari contro veterani gladiatori armati di mazze, dando sfoggio dell’ennesimo cruento spettacolo sanguinario tanto gradito al popolo romano.

I gladiatori dovevano anche sopportare difficoltà e avversità, come è dimostrato anche dal loro sacramentum gladiatorium, il giuramento di gladiatori, Uri, vinciri, verberari, ferroque necari, letteralmente “Sopporterò di essere bruciato, di essere legato, di essere morso, di essere ucciso”, frase ripetuta dagli uomini prima della loro introduzione nell’ambiente gladiatorio.

Dopo aver pronunciato queste parole, venivano solennemente condotti nelle loro minuscole celle abitative e chiudibili a chiave dall’esterno che erano sparse lungo il perimetro del campo di addestramento, iniziando la loro nuova vita nella società romana. Gli uomini liberi che accettavano, volontari, la pericolosa carriera ricevevano un’opportunità di uscita dalla scuola pagando una tassa al lanista, il proprietario/manager dei gladiatori acquisiti.

— CONTINUA —

Daniele Mancini

Riferimenti bibliografici:

  • S. facchini, I luoghi dello sport nella Roma antica e moderna, Roma 1990
  • F. Paolucci, I dannati dello spettacolo, Milano 2003
  • F. Guidi, Morte nell’arena. Storia e leggenda dei gladiatori, Milano 2006

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