mercoledì, 24 Aprile 2024
Teate si racconta

BREVE RACCONTO DI NATALE – TEATE SI RACCONTA…

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Questo racconto è un breve proseguo della pièce teatrale “Saturnalia a Teate Marrucinorum“, scritta e diretta da chi scrive, portata in scena nel 2018, nel 2019 e nel 2022 (aggiornamento del 18 dicembre 2022, ndr) in due siti eccezionali della città di Chieti, i Tempietti Romani e la Sala Frontoni del Museo Archeologico Nazionale La Civitella, proprio nel periodo dei Saturnalia romani, una festa celebrata un po’ prima del nostro Natale.


Prologo. I protagonisti sono ancora loro, Aurelia Nonia Corbulone, la procace moglie  del quattuorviro di Teate Marrucinorum, potente magistrato dell’annona urbica, Sesto Lusio Corbulone, e Gaio, uno schiavo. Questo è il suo nome romano, nato a Capua ma di origini giudaiche: il nonno partecipò alla rivolta contro i Romani che portò alla distruzione di Gerusalemme. I Romani giustiziarono il nonno di Gaio e deportarono i suoi genitori a Capua dove divennero gli schiavi di fiducia del magistrato locale. Ora Gaio, acquistato da Gaio Vezio Marcello, figlio di quel Marco che ha restaurato il foro di Teate, proprio quel Gaio da cui ha preso il nome e con cui si fa chiamare, è stato condotto a Teate prima a lavorare al fornax delle locali terme poi quale assistente del conductor dei bagni termali, Aulo Mario Alieno, un aristocratico cavaliere spiantato, dedito al gioco ma aiutato dai suoi amici a gestire un’attività che lo dovrebbe risollevare economicamente e socialmente. Gaio è innamorato dalle schiava Ambrosia, ex serva di Aurelia e ora di servizio alle terme con il suo amato.

 

Giunge al termine l’anno 868 Ab urbe condita, 868 anni dalla fondazione di Roma, corrispondente al 116 d.C. Marco Ulpio Nerva Traiano, l’Optimus Princeps, il primus inter pares, il primo tra i pari dell’impero, ha appena conseguito importanti vittorie in Mesopotamia, espandendo la gloria di Roma e annettendo città mitiche come Babilonia e Ctesifonte.

I messi imperiali hanno comunicato che, a causa di un’infreddura, è ancora malato in Cilicia e ogni giorno, a Teate, sono officiati tutti i tipi di rituale per concedergli la benevolenza degli Dei ma gli àuguri sono scettici sulla sua salute.

Alcuni veterani amici di Gaio, di rientro dalle campagne d’oriente, conseguita la honesta missione dimissus, il congedo onorevole dopo il regolamentare numero d’anni di servizio, trascorsi i lunghi giorni di bagordi e trasgressioni dei Saturnalia, oggi dimessi e assorti in una sorta di stato contemplativo, incontrano Gaio alle terme ma solo per un semplice saluto e non per i consueti trattamenti…

Aurelia, durante il suo appuntamento fisso con Gaio, nota lo strano comportamento di alcuni veterani con cui spesso si è intrattenuta alle terme e ne chiede notizia a Gaio. Questi è piuttosto evasivo, ne sa poco ma sembra sia stato invitato a una cerimonia commemorativa, di cui non aveva mai sentito parlare, proprio in quella mattina, presso la domus di uno dei veterani, quel Quinto Esquilo che ha trascorso la maggior parte del suo servizio tra Gerusalemme e Antiochia.

Di ritorno alla sua domus, Aurelia sguinzaglia tutti i suoi schiavi per sapere di cosa si tratti quel nuovo festeggiamento organizzato dai veterani: a Teate, dove si festeggia e gozzoviglia, non può mancare Aurelia!

Quando il pallido sole invernale ha raggiunto il suo punto più alto, Gaio si allontana dalle terme e raggiunge la domus di Quinto Esquilo, presso la porta meridionale dell’Anfiteatro, dove i colli teatini producono il vino migliore. In un modesto ambiente dell’abitazione, lo accolgono in tanti, altre schiave e schiavi, altri veterani con le rispettive mogli, tanti bimbi poco intenti alla tranquillità degli adulti. Tra la folla riconosce la sua Ambrosia alla quale si avvicina sorpreso. Si scambiano uno sguardo interrogativo e, senza proferir parola, attendono l’evolversi degli eventi.

Nel frattempo gli schiavi di Aurelia, eccitata dalla possibilità di partecipare a una nuova festa, riferiscono alla loro domina che uno strano movimento di veterani e schiavi si sta riunendo presso l’abitazione di uno di questi, quel Quinto Esquilo, che lei conosce molto bene dai suoi incontri alle terme. Nessuno le sa spiegare il motivo di questo incontro.

Immediatamente sobbalza dal suo triclinio, chiama i suoi quattro portatori nubiani e, condotta sulla  splendida lettiga di cedro del Libano, si dirige verso quel luogo di incontro misterioso.

Intanto, nella domus di Quinto Esquilo, a un cenno di silenzio, la platea tace: entra il veterano con un volumen tra le sue mani, lo poggia sul tavolo e lo srotola. Nello stesso instante arriva tutta euforica anche Aurelia ma il suo sorriso si spegne in un attimo quando vede tutti i visi attenti e silenziosi dei partecipanti. Tutti si girano a guardarla, nessun mormorio circa la sua improvvida presenza, il rito inizia.

Tra candele e fumi di incenso che inondano la stanza, Quinto Esquilo inizia la lettura di un testo: è una lettera che un tale Paolo ha scritto indirizzata ai Romani. Le parole che Quinto legge parlano di amore, di un Dio pacifico che ama tutti e protegge tutti, per mezzo di suo figlio, Gesù Cristo, incitando a espandere la fede in tutto il mondo attraverso l’amore per il prossimo.

Gaio ricorda immediatamente chi fosse quel Gesù Cristo: lui non professa alcuna religione, vivendo tra i Romani ha smesso di credere in qualsiasi divinità, compreso il Dio dei suoi genitori o quel Gesù che si è professato essere il Messia, di cui ha sentito tanto parlare e di cui ora sente il nome dalla bocca di un suo caro amico.

Ha un tremito, Ambrosia gli afferra la mano, lui si divincola e si fa largo tra la folla. Incrocia Aurelia sull’uscio di quella casa e sfugge anche alla sua stretta.

Fugge, fugge e fugge ancora, non desidera questo nella sua vita, torna alle sue terme e questo sarà il suo unico e ultimo incontro con quel Gesù Cristo latore di quel nuovo messaggio di speranza che, però, non riuscirà mai a convincerlo.

 

Buone feste a tutti!

 

Daniele Mancini

 

Natale in Enciclopedia Treccani

 

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