Per decenni, gli storici hanno discusso se un famoso rituale di tortura vichingo, macabro e violento, sia mai realmente stato praticato o se fosse una storia fraintesa o semplicemente tramandato attraverso la letteratura nel corso dei secoli.

Il sanguinario rituale dell’aquila insanguinata è stato presentato, nel corso della storia, come esempio di brutalità e spietatezza vichinga, sia nei poemi epici e nelle saghe tramandate dal Medioevo, sia, più recentemente, nella cultura popolare incentrata sulle fictions televisive, quali Vikings, e nel recente videogioco Assassin’s Creed: Valhalla.

Sembra che il rituale consistesse nel separare le costole dalla sua spina dorsale della vittima, per simboleggiare le ali di un’aquila, e far sporgere i polmoni attraverso le ferite mentre l’individuo è ancora in vita: i ricercatori hanno discusso per decenni sull’autenticità di questo rituale piuttosto crudo e se sia veramente stato praticato.

Un team di ricercatori, tra cui esperti di anatomia della Keele University, ha pubblicato una nuova ricerca sulla rivista  Speculum che ha indagato se fosse possibile eseguire il rituale come descritto al fine di poter supportare qualsiasi discussione sulla probabilità che avesse avuto luogo.

In collaborazione con lo storico vichingo, Luke John Murphy, dell’Università dell’Islanda, Monte Gates, Heidi Fuller e Peter Willan hanno condotto simulazioni utilizzando un software di anatomia moderna all’avanguardia combinato con la rivalutazione di storie e resoconti storici di come si svolgesse il rituale e una nuova analisi di come la società nordica del primo medioevo usasse comportamenti violenti.

La loro analisi avrebbe scoperto che il rituale dell’aquila insanguinata avrebbe potuto benissimo essere eseguita come descritto nelle storie del primo medioevo tramandateci. Sebbene il team non possa affermare in modo definitivo se il rituale sia stato effettivamente eseguito, la loro analisi rivela che è anatomicamente possibile anche se, probabilmente, avrebbe provocato la morte della vittima all’inizio del processo. La loro analisi del contesto culturale in cui si sarebbe svolto l’intero rito ha dimostrato che, sebbene estremo, il rituale dell’aquila insanguinata non sembra contravvenire ai costumi sociali sulla violenza rituale vichinga.

Le loro scoperte forniscono un importante contributo allo studio della società altomedievale nordica poiché sostengono che qualsiasi rituale di questo tipo avrebbe avuto un ruolo importante nella cultura “vichinga”, in particolare per garantire e sostenere lo status sociale del committente in seguito a un precedente atto mortale compiuto dalla vittima del rituale nei confronti di un consanguineo di sesso maschile del committente stesso.

Secondo Murphy, lavorare con gli anatomisti su questo progetto è stato affascinante e istruttivo: è stata fornita una prospettiva di studio diversa permettendo di affrontare le credenze sul rituale dell’aquila insanguinata in un modo nuovo, che ha prodotto risultati entusiasmanti.

Monte Gates, ritiene, invece, che l’etica interdisciplinare del lavoro abbia permesso non di guardare al rituale dell’aquila insanguinata solo dal punto di vista di un anatomista del ‘come’ ma anche alla prospettiva socioculturale del ‘perché’ si svolgesse e si praticasse.