venerdì, 19 Aprile 2024
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TOP 10 DELLE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE 2022 – seconda parte

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La rivista ARCHAEOLOGY, una pubblicazione dell’Archaeological Institute of America, pubblica la sua classifica Top 10 delle scoperte archeologiche 2022, secondo gli editori della rivista stessa. Questa è la seconda parte del resoconto delle scoperte archeologiche, che come ogni anno vi propongo. Per la prima parte, clicca qui.

Buona lettura.


San Bartolo, Guatemala. Un’immagine larga quasi tre centimetri della testa di un cervo scoperta alla base di una piramide nell’antica città di San Bartolo è la prima notazione conosciuta del calendario rituale Maya di 260 giorni. Tradotto da un team che comprende, tra gli altri, gli archeologi David Stuart dell’Università del Texas e Heather Hurst dello Skidmore College, il glifo rappresenta una data ed è stato dipinto intorno al 250 a.C., come parte di un murale che decorava una delle pareti interne della piramide. Sono stati trovati undici frammenti del murale recanti la prima scrittura Maya, ma la data del cervo è l’unica iscrizione geroglifica che è stata finora decifrata.

Il team ritiene che il glifo sia stato dipinto da uno scriba che lavorava in una tradizione artistica e letteraria che era già piuttosto antica nel III secolo a.C. Secondo la Hurst, la data del cervo ha una graziosa qualità calligrafica in cui è possibile notare i delicati colpi di pennello usati per dipingerlo. La Hurst spiega che il segno del giorno funzionava come una sorta di didascalia, forse segnando una data importante legata al ruolo svolto dalla piramide come parte di un più ampio osservatorio astronomico. Stuart sottolinea che il cervo è una delle date che i Maya usano ancora per segnare l’inizio dell’anno solare, una sorta di Capodanno, che doveva collegarsi alla funzione della piramide come una sorta di ponte di osservazione solare nella giungla.

Huarmey, Perù. Nel sito di El Castillo de Huarmey, sulla costa settentrionale del Perù, un team guidato dall’archeologo Miłosz Giersz dell’Università di Varsavia ha portato alla luce una tomba contenente i resti di un uomo che occupava una posizione di potere nell’Impero Wari (650-1000 d.C. circa). I Wari controllavano la maggior parte dell’attuale Perù, facendo affidamento su una combinazione di aggressioni militari e progetti di irrigazione per ottenere il favore della popolazione locale. L’uomo nella tomba è stato trovato avvolto in una mummia, con i resti di altri sei nelle camere vicine: probabilmente un altro uomo, due donne e tre adolescenti il ​​cui sesso deve ancora essere determinato, tutti membri dell’élite locale sepolti con importanti manufatti: orecchie d’oro e d’argento ma, secondo Giersz, gli uomini non sembrano essere stati guerrieri.

Mentre la maggior parte degli uomini di alto rango nell’iconografia Wari è raffigurata con armi, gli uomini e le donne in questa tomba sembrano essere stati artigiani altamente qualificati. L’uomo nella mummia è stato sepolto insieme a tessuti, pelle dipinta e cesti in diverse fasi di produzione. Gli archeologi hanno anche trovato una gamma di materie prime per realizzare cesti, tra cui canne, cotone colorato e filo di lana, corde di varie dimensioni e colori e palline di resina usate come colla. Giersz osserva che sia gli uomini che le donne nella tomba hanno segni sulle ossa causati dal tipo di uso ripetitivo delle mani, tipico della lavorazione, ma nessun segno di trauma da combattimento. I loro resti mostrano anche segni di gravi disabilità fisiche come l’osteoporosi, la mancanza di mobilità e una grave carie. Queste condizioni, dice Giersz, può spiegare perché gli uomini nella tomba non erano adatti a essere guerrieri. La tomba è vicina a un enorme mausoleo scoperto da Giersz nel 2012 contenente i resti di 58 donne Wari di alto rango. La tomba scoperta è la prima a conservare artigiani Wari di alto rango.

Lagash, Iraq. Secondo il modello tradizionale del primo sviluppo urbano mesopotamico. i centri erano insediamenti compatti che si espandevano a partire da un complesso religioso monumentale centrale. Tuttavia, una recente indagine di telerilevamento dell’antica città sumera di Lagash, nell’attuale Iraq meridionale, ha stabilito che era composta da diverse sezioni distinte, ciascuna delimitata da mura o corsi d’acqua. Il sondaggio è stato condotto dall’archeologa Emily Hammer dell’Università della Pennsylvania in collaborazione con i direttori del progetto archeologico di Lagash, Holly Pittman e Augusta McMahon e includeva il telerilevamento con droni dell’intero sito di oltre 300 ettari. I risultati hanno rivelato che la popolazione di Lagash, che risale in gran parte al primo periodo dinastico (2900-2350 a.C.), vivevano su un paio di colline allungate, ciascuna circondata da solide mura. Una di queste colline, a est, misurava 40 ettari acri e l’altra, a ovest, quasi 90 ettari. La popolazione viveva anche su una collina senza mura a nord che si estendeva per quasi 60 ettari ed era attraversata da corsi d’acqua. Un quarto tumulo molto più piccolo nel nord-est era dominato dal un grande tempio.

Secondo la Hammer, dal telerilevamento è stato possibile rilevare i dettagli del primo insediamento di Lagash, abbandonata entro la fine del primo periodo dinastico. Pertanto, a differenza di molti altri centri urbani della regione, non è stata edificata con continuità nel corso dei millenni, in un modo che avrebbe oscurato la sua struttura originale. Durante il primo periodo dinastico, il Golfo Persico si estendeva molto più a nord-ovest di quanto faccia oggi, creando un ambiente paludoso che potrebbe aver portato i primi abitanti di Lagash a stabilirsi su tratti di altura. Il golfo si ritirò a sud-est, verso la sua posizione attuale, dopo che la maggior parte della popolazione di Lagash se ne fu andata. La Hammer ritiene che molti centri della Mesopotamia meridionale, visibili  come entità circolari o ovali continue, appaiano così solo perché hanno continuato ad essere occupate nel secondo e nel primo millennio a.C. o anche più tardi. Poiché il golfo si era ritirato, dunque, queste città non erano più vincolate da corsi d’acqua e aree paludose, quindi potevano essere spazialmente contigue.

Barikot, Pakistan. La regione del Pakistan nord-occidentale, conosciuta come il Grande Gandhara, secondo gli archeologi, non avrebbe dovuto conservare monumenti buddisti urbani una fase così precoce. Secondo Luca Maria Olivieri dell’Università Cò Foscari di Venezia, fino ad ora, non sono state rinvenute tracce della presenza buddista a Barikot risalente a prima della fine del I secolo d.C. I resti scavati finora includono una struttura absidale alta 3 metri su cui è stata successivamente eretto un santuario circolare. L’edificio contiene un iconico stupa buddista a forma di cono.

Il team di Olivieri è rimasto sorpreso dalla forma dell’edificio, che è ben noto dalle strutture buddiste in India ma è molto raro nel Gandhara. Il team ha anche trovato sculture e iscrizioni buddiste.

Oltre ad essere un centro religioso, Gandhara era al centro di molteplici importanti espansioni imperiali, tra cui quelle dell’Impero persiano achemenide di Alessandro Magno, dell’Impero maurya dell’India settentrionale e degli indo-greci della Battriana, Asia centrale, che erano al potere quando fu costruito il tempio appena scoperto, evidenziando l’importanza strategica del territorio oltre quella per le comunità buddiste.

Mare di Weddell, Antartide. La Top 10 si conclude con il relitto della nave Endurance del leggendario esploratore Ernest Shackleton, identificata a quasi 3000 metri sott’acqua, sul fondo del Mare di Weddell, al largo della costa dell’Antartide, dove affondò nel novembre 1915. La nave a tre alberi lunga oltre 40 metri si trovava a circa 4,6 miglia a sud della sua ultima posizione stimata dai membri della spedizione Endurance22, nata sotto gli auspici del Falklands Maritime Heritage Trust. Shackleton mirava a fare la prima traversata terrestre dell’Antartide, ma i suoi piani andarono in fumo quando la Endurance rimase bloccato in una fitta banchisa e l’equipaggio di 28 persone fu costretto ad abbandonare la nave. Gli uomini hanno trascorso mesi accampandosi su banchi di ghiaccio che li hanno portati verso nord fino a quando non hanno potuto raggiungere la disabitata Elephant Island con una scialuppa di salvataggio. Shackleton e molti altri hanno proseguito per altr 1200 chilometri fino all’isola della Georgia del Sud, dove hanno chiesto aiuto per salvare il resto dell’equipaggio.

Lo stesso ghiaccio marino che ha condannato Endurance ha sventato numerosi tentativi di localizzare la nave nel secolo scorso, ma lo sforzo del 2022 è stato aiutato da livelli di ghiaccio storicamente bassi. Quando il team ha visionato il video del relitto catturato da un sommergibile telecomandato, è rimasto colpito dal livello di conservazione del relitto, in gran parte dovuto all’assenza di parassiti che mangiano legno nel gelido mare di Weddell. Dai primi rilievi compiuti dall’archeologo marino Mensun Bound, direttore dell’esplorazione della spedizione, e del team, uno dei primi oggetti apparsi fu il timone della nave, strappato via dal ghiaccio, permettendo all’acqua di penetrare nella nave, rendendola infine irrecuperabile. La telecamera ha catturato anche il nome della nave sulla poppa e, sotto di essa, una rappresentazione a cinque punte della stella polare. Insieme al timone della nave, a entrambe le sue ancore e agli oblò della cabina di Shackleton, Bound individua, come particolarmente degni di nota, un trio di fori praticati dai membri dell’equipaggio attraverso il ponte per recuperare i rifornimenti dalla nave che affonda, cibo durato fino al loro arrivo ​​a Elephant Island.

Termina la Top 10 delle scoperte archeologiche 2022 realizzata dalla rivista Archaeology.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Arcaheology Top 10 2022

 

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