domenica, 8 Dicembre 2024
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RINVENUTE TRACCE DI RITI DI NEGROMANZIA NELLA GROTTA DI TE’OMIM, ISRAELE

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Secondo un nuovo studio, la presenza di antichi teschi umani, lucerne a olio e frammenti di armi di epoca romana in una grotta vicino Gerusalemme testimoniano l’utilizzo del sito come luogo per evocare defunti a scopo divinatorio, una pratica nota come necromanzia o negromanzia o “magia della morte”.

Sulla base degli stili dei manufatti, i ricercatori ritengono che i rituali siano stati eseguiti nella Grotta di Te’omim, a circa 30 chilometri a ovest di Gerusalemme, tra il II e il IV secolo d.C. 

Secondo Boaz Zissu, un archeologo dell’Università Bar-Ilan, a Ramat Gan, nel distretto di Tel Aviv, in Israele, la maggior parte dellla popolazione ebraica che viveva nella regione era stata sradicata dalle proprie case o cacciata dall’Impero romano al potere dopo la ribellione ebraica nota come Rivolta di Bar Kokhba, tra il 132 e il 136 d.C. In seguito, i Romani ripopolarono la regione con gruppi umani provenienti da altre parti del loro impero, probabilmente dalla Siria, dall’Anatolia e dall’Egitto.

Zissu ritiene che una nuova popolazione pagana sia arrivata in quella che un tempo era stata la Giudea, divenuta la Siria Palaestinese, portando nuove idee, nuovi costumi e, a quanto pare, i riti della negromanzia.

Zissu è autore, con l’archeologo Eitan Klein della Israel Antiquities Authority, di un nuovo studio recentemente pubblicato sulla rivista Harvard Theological Review. Descrive accuratamente gli oggetti rinvenuti nella grotta: più di 120 lucerne a olio, asce e lame di lancia e tre crani umani. 

La vasta Grotta di Te’Omim è stata frequentata fin dalla preistoria e i ribelli ebrei l’hanno usata come nascondiglio dai Romani durante la rivolta di Bar Kokhba.

Durante gli scavi, gli archeologi hanno scoperto tre tesoretti di monete d’oro e d’argento ascrivibili a quel periodo. Hanno anche individuato un filone di calcite o roccia di alabastro all’interno della grotta, forse per creare preziosi manufatti.

Gli stili delle lucerne a olio e alcune monete suggeriscono che la grotta divenne un luogo di negromanzia quando i nuovi arrivati ​​nella zona portarono con sé i loro rituali tradizionali, ha detto.

La negromanzia era considerata malvagia e spesso bandita all’interno dell’Impero Romano e della stessa religione ebraica. Tuttavia, molte città antiche del mondo conosciuto erano vicine ai siti degli “oracoli” dove i visitatori credevano di poter parlare con i morti. La grotta divenne uno di questi luoghi.

Zissu conferma che, sebbene il sito sia distante dal principale tratto viario, i reperti sono stati rinvenuti in condizioni perfette grazie, soprattutto, al profondo pozzo in cui sono stati conservati che era creduto come un collegamento con gli inferi.

Le lucerne, i crani umani e i frammenti di armi sono alloggiati in fessure all’interno dell’enorme caverna, spesso così lontane che i ricercatori avevano bisogno di lunghi pali con ganci all’estremità per recuperarle, come probabilmente facevano gli antichi stessi. 

Le fessure potrebbero sembrare troppo profonde affinché le lucerne a olio proiettassero della luce: i ricercatori inizialmente pensarono che fossero manufatti adibiti esclusivamente a un culto ctonio, rituali associati agli spiriti dell’aldilà. Secondo i ricercatori, i crani, anch’essi inseriti nelle fessure, suggerivano che il vero scopo fosse quello di cercare di parlare ai morti, che avrebbero dovuto essere in grado di predire il futuro.

Le ossa degli individui defunti venivano talvolta utilizzate nel tentativo di entrare in contatto con quella persona dopo la sua morte e lo sfarfallio delle fiamme nel buio della grotta potrebbe essere stato interpretato come messaggi dei defunti provenienti dagli inferi.

Con i risultati di questa ricerca, molti sono i contributi alla conoscenza di nuove pratiche pratiche religiose nel periodo romano in questa parte dell’impero, quasi in netto contrasto tra l’uso religioso delle grotte da parte dei politeisti del periodo romano e le prime chiese rupestri cristiane in Terra Santa.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

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