martedì, 19 Marzo 2024
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DIVINITA’ E FARAONI NELLA VALLE DEI RE – prima parte

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Chi non ha mai ammirato, anche di sfuggita su un libro o qualche programma tv, le splendide decorazioni parietali delle tombe della Valle dei Re, restandone stupefatto? Ammetto che il mio studio, la mia passione sfrenata, va oltre i normali canoni di interesse: eccomi, quindi, a raccontare e a far vivere quelle sensazioni uniche descrivendo quanto gli antichi abitanti della Valle del Nilo hanno realizzato nelle tombe per il loro Sovrani e le loro Divinità.

Buona lettura.


A partire dalla tomba di Tuthmosis III e quasi in ogni sepolcro successivo, il repertorio delle scene nelle tombe reali comprende immagini del re con varie divinità. Si tratta di scene distinte da quelle tratte dai libri della vita nell’Aldilà, in cui queste stesse divinità, e molte altre, s’intrecciano in elaborate rappresentazioni che illustrano il viaggio attraverso l’Aldilà stesso o il cielo.

Thot e Sethi I

Le immagini rappresentate sono molto semplici: per la maggior parte consistono soltanto della figura del sovrano con un dio, spesso ordinate come fregi. Generalmente, sovrano e divinità sono in piedi, l’uno di fronte all’altra; il primo, passivamente o attivamente, compie offerte alla seconda e questa, in cambio, concede protezione e vita eterna al re.

Le icone del faraone e della divinità, anche se in forma meno convenzionale, risalgono ali Antico Regno[1]; esse rappresentavano una parte importante del corredo decorativo del complesso funerario e avevano la funzione di aiutare il re nella sua trasformazione in divinità. A partire dal Nuovo Regno, singole immagini del re e del dio, l’uno di fronte all’altro, diventarono essenziali anche nella decorazione del tempio divino, in cui il re era rappresentato mentre si prendeva cura del dio, che in cambio gli concedeva i mezzi necessari per governare.

Negli esempi più antichi delle tombe reali del Nuovo Regno gli dei sono le divinità principali degli inferi, raffigurati nell’atto di accogliere il faraone nell’Aldilà e di garantirgli la vita eterna[2]. In queste rappresentazioni il re è passivo, riceve senza dare nulla in cambio. Le scene più tarde sono simili a quelle rinvenute nei templi divini, dove il sovrano e la divinità sono ritratti in un rapporto biunivoco: il re compie un’offerta al dio e in cambio gli è garantita protezione nell’Aldilà e assicurata la rinascita dopo la morte[3].

L’immagine più antica di un re con un dio compare su un pilastro della camera sepolcrale di Tuthmosis III, dove il sovrano è rappresentato nell’atto di essere allattato da Iside celata sotto forma di una dea albero. Occorre specificare che qui la dea va molto probabilmente identificata con Hathor, che, al contrario di Iside, prendeva spesso le sembianze di dea albero. Il nome di Iside compare perché era quello della madre di Tuthmosis III. Sulla stessa colonna, Iside/Hathor è tratteggiata, come in uno schizzo su papiro, nell’atto di attraversare i campi del mondo ultraterreno.

Quasi tutte le tombe reali fino alla fine del Nuovo Regno contengono scene del re con gli dei che esulano dai maggiori libri dell’Aldilà. Nelle tombe della prima parte della XVIII Dinastia compaiono sui pilastri della camera sepolcrale, dell’anticamera e/o sulla parte alta dei muri del pozzo. Le divinità più frequentemente rappresentate sono Osiride, Anubi e Hathor, i tre più importanti numi dell’Aldilà[4].

Vi mostro, di seguito un elenco delle principali divinità egiziane, quanto esse rappresentassero per l’antico popolo del Nilo e come siano state raffigurate.

Tomba di Nefertari, Osiride

Sovrano del mondo sotterraneo, Osiride, era originariamente identificato come il dio della fertilità, collegato con l’inondazione annuale del Nilo e la fecondità del limo che si depositava quando le acque si ritiravano. Come tale fu strettamente associato alla morte e alla resurrezione. Il suo principale luogo di culto nel corso di tutta la storia egizia fu Abido, un sito in Alto Egitto in cui furono sepolti i primi re del Paese unificato. Più tardi divenne una figura fondamentale nell’ambito della religione funeraria dell’Antico Regno, descritto attentamente nelle preghiere d’offerta incise nelle cappelle di culto dell’elite. È una delle tre divinità principali, con Ra e Horus, citata nei Testi delle Piramidi[5].

Osiride è tradizionalmente raffigurato sotto forma di mummia, in piedi o assiso con le gambe strettamente avvolte insieme. Le mani emergono dalle fasciature e impugnano uno scettro e un flabello, elementi fondamentali della regalità. Sulla testa porta la corona bianca dell’Alto Egitto, spesso profilata da piume di struzzo e/o sormontata da un disco solare e da corna d’ariete. Di solito ha la pelle nera o verde, colori che fanno riferimento alla fertilità.

Nota come Signora dell’Occidente e Signora del Deserto Occidentale, Hathor compare per la prima volta nel Periodo Protodinastico, ma la sua venerazione può essere fatta risalire all’epoca preistorica. Assume forme e ruoli diversi, che variano a seconda della località, del periodo e del contesto. Il suo nome si scrive con un falco (il geroglifico che designa il nome di Horus) posto all’interno di un recinto, un segno che indica la casa e che qui deve essere interpretato anche come utero, a enfatizzare il ruolo di Hathor come madre di Horus. Questo appellativo, inoltre, la identifica come divinità celeste, poiché Horus era un dio del ciclo e il suo regno era l’aria. La dea, infine, era collegata al cielo notturno e quindi all’Aldilà, poiché il cielo notturno si riteneva appartenesse al territorio sotterraneo[6].

Hathor si accompagna al dio sole, Ra, fin dall’Antico Regno: è sia sua figlia che sua moglie e recita un ruolo importante sia nei Testi delle Piramidi, sia nel culto solare della fine dell’Antico Regno. Il titolo più comune per le donne dell’elite di questa epoca era quello di Sacerdotessa di Hathor. La regina era tipicamente identificata con questa dea.

Hathor e Seti I, Musee du Louvre – Foto Daniele Mancini

In un cielo mitico, Hathor è considerata come “l’occhio” del dio sole. Secondo questa leggenda, Ra, furibondo con il genere umano, inviò Hathor (nella forma sia di occhio sia di dea leonessa Sekhmet) a distruggere tutti gli abitanti della terra. Quando però si rese conto dello scompiglio che stava arrecando, si pentì e tentò a richiamarla. Ma la dea era così assetata di sangue che soltanto uno stratagemma avrebbe potuto fermarla: gli dei inondarono i campi di birra colorata di rosso; credendo che fosse sangue, Hathor la bevve e si addormentò.

Secondo un altro mito, quando il padre Ra si adirò, lasciando la terra nell’oscurità e nel gelo, essa lo fece ridere spogliandosi dinnanzi a lui. Era considerata la dea della sessualità e perciò della fertilità, e contribuiva ad assicurare la resurrezione del re[7].

Oltre che in forma antropomorfa, Hathor è rappresentata con sembianze di vacca: in entrambi i casi può essere raffigurata mentre allatta il re. Associata al mito della Vacca Celeste che partorisce il dio sole, è intimamente legata alla zona tebana ed è ritratta nell’arte tombale mentre emerge da una boscaglia di papiri ai piedi della collina tebana, nell’atto di accogliere benevolmente il defunto nella terra del sole al tramonto. Vi sono infine testimonianze che suggeriscono che fin dall’Antico Regno Hathor fosse identificata come divinità dell’albero, la “Signora del Sicomoro“, che produce cibi e bevande per il defunto, garantendo vita eterna[8].

Hathor era venerata in molte località dell’Egitto e anche al di fuori dei confini del Paese, in particolare nel Sinai e a Biblos. Ebbe un tempio importante a Dendera, dove era adorata quale consorte di Horus di Edfu. Un altro luogo di culto era Deir el-Bahari, sulla riva occidentale tebana.

—  CONTINUA —

 

Daniele Mancini

Note e approfondimenti bibliografici:

[1] Come si vede, ad esempio, nei complessi reali delle piramidi.

[2] REEVES, N., WILKINSON, R.H., The Complete Valley of the Kings, LONDRA, 1996, pp. 33-34

[3] ROMER, J., La Valle dei Re, MILANO, 1981, p. 105

[4] WEEKS, K. R., (a cura di), La Valle dei Re. Le Tombe e i Templi funerari di Tebe Ovest, VERCELLI, 2001, pp. 124-125

[5] HAWASS, Z., LeTombe Reali di Tebe, NOVARA, 2006, pp. 71-72

[6] ABITZ, F., Konig und Gott. Die Gotterszenen in den agyptischen Konigsgrabern von Thutmosis IV bis Ramses III, WIESBADEN, 1984, pp. 44-47

[7] WEEKS, 2001, p. 126

[8] REEVES-WILKINSON, 1996, pp. 35-37

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