venerdì, 26 Aprile 2024
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INVASIONE LONGOBARDA NELL’ANALISI DI DATI BIOMOLECOLARI

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La grande marcia dei Longobardi nella penisola italiana iniziò nel 568 d.C., quando i guerrieri di una delle tante gentes germaniche iniziarono a premere in modo impressionante alle porte delle Alpi per conquistare nuove terre.

Seguendo la Via Postumia da Noes-Est, l’antica consolare romana, fondarono una serie di insediamenti nel Veneto le cui necropoli sono state oggetto di indagini archeologiche dai primi anni ’80 fino a oggi.

Un nuovo studio, frutto di una missione coordinata da Mary Anne Tafuri del Laboratorio di Paleoantropologia e Bioarcheologia dell’Università La Sapienza, di Roma, ha ricostruito le dinamiche attraverso le quali i Longobardi arrivarono nella nostra penisola dopo la caduta dell’Impero Romano e si insediarono sul territorio. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports.

Lo studio è stato realizzato in collaborazione con il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), l’Università degli Studi di Parma e l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e  si basa su analisi biomolecolari sui resti di alcuni dei soggetti rinvenuti nella necropoli longobarda di Povegliano Veronese.

Il suo scopo era indagare sulla mobilità delle popolazioni germaniche e gli aspetti socio-culturali che ne seguirono. Nello specifico, la Tafuri e il suo team hanno esaminato la concentrazione di stronzio e ossigeno e dei loro isotopi stabili (atomi con numero di massa variabile) all’interno di ossa e denti di un “campione” di 39 individui sepolti e 14 animali, selezionati tra i reperti emersi dalla necropoli.

L’ossigeno e lo stronzio, come tutti gli elementi naturali, hanno una precisa distribuzione isotopica che può essere alterata da fattori biochimici e ambientali. E’ interessante perché i valori relativi a queste alterazioni sono specifici di un’area geografica piuttosto che di un’altra.

Rilevando questi dati biomolecolari, secondo la Tafuri, è possibile evidenziare l’eterogeneità dei valori all’interno del campione e di fare una suddivisione statistica in tre “sottopopolazioni”, distinte da diverse firme geochimiche: i nativi, cioè quelli che hanno trascorso tutta la vita a Povegliano Veronese; gli alloctoni, giunti sul territorio durante la loro vita; gli outlier, quegli individui con valori al di fuori della variabilità osservata nei primi due gruppi.

Successivamente i ricercatori hanno indagato l’origine e le dinamiche di mobilità di quella parte di comunità, circa il 26%, che non era nata a Povegliano ma vi era migrata nel corso della vita, confrontando i dati isotopici di questo gruppo con quelli di individui di altre necropoli longobarde. I valori isotopici degli alloctoni di Povegliano erano compatibili con quelli dei Longobardi sepolti nella necropoli ungherese di Szolad, uno degli ultimi luoghi occupati dai Longobardi prima del loro arrivo in Italia, a conferma della ricostruzione effettuata dagli studiosi.

Inoltre, grazie ai dati forniti dalle strutture delle tombe dove sono stati ritrovati gli individui e dagli oggetti da corredo, è stato possibile distinguere tra sepolture riconducibili alla fase più antica della necropoli (fine VI – inizi VII secolo d.C.) e a quella più recentei (prima metà del VII – prima metà dell’VIII secolo d.C.), cioè tra individui appartenenti alla prima e alle successive generazioni di coloni.

La Tafuri ritiene che è stato dimostrato che tutti gli alloctoni rinvenuti nell’area sepolcrale di Povegliano Veronese appartenevano alle prime generazioni, perché accompagnati da reperti riconducibili alla prima fase di fruizione della necropoli, mentre gli autoctoni, i nati e morti a Povegliano, sono caratterizzati da elementi successivi.

I risultati dello studio, che combina dati archeologici e analisi biomolecolari, costituiscono un tassello importante nella ricostruzione delle dinamiche di insediamento e mobilità dei Longobardi nel loro complesso. Aiutano anche a spiegare come questi guerrieri si siano integrati nel contesto della civiltà, creando una nuova cultura che è stata capace di coniugare la tradizione germanica con quella classica e romano-cristiana.

 

Rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Università La Sapienza

Longobardi

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