sabato, 27 Luglio 2024
NuoveTecnologie

NUOVA METODOLOGIA PER SALVAGUARDARE IL VASTO PATRIMONIO DI REPERTI OSSEI

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Sviluppata da scienziati dell’Università di Bologna e dell’Università di Genova, la nuova tecnologia consente di mappare, ad alta risoluzione, la presenza del collagene, la proteina essenziale per effettuare la datazione al radiocarbonio, campionando, strategicamente, i manufatti e i reperti ossei, individuando frammenti e aree idonei per l’analisi.

Un metodo innovativo, sviluppato da un team italiano, rivoluzionerà il campo dell’archeologia e della datazione al radiocarbonio, proteggendo il nostro patrimonio culturale. I ricercatori lo hanno utilizzato con risultati sorprendenti su ossa archeologiche, rendendo visibile l'”invisibile”.

Questo importante risultato, pubblicato sulla rivista Communications Chemistry, è il risultato di un ampio lavoro di ricerca coordinato da Sahra Talamo, a cui hanno collaborato ricercatori nel campo della chimica analitica dell’Università di Bologna e dell’Università di Genova.

Il gruppo ha sviluppato una nuova tecnica per l’analisi delle ossa archeologiche che, per la prima volta, permette di quantificare e mappare ad alta risoluzione la presenza di collagene, la proteina invisibile indispensabile per effettuare la datazione al radiocarbonio e ottenere così nuove informazioni sull’evoluzione dell’uomo.

Secondo la Talamo, coautore dello studio e direttore del laboratorio di datazione al radiocarbonio BRAVHO presso l’Università di Bologna, la nuova metodologia offrirà la possibilità di ridurre al minimo la distruzione di prezioso materiale dei reperti ossei, protetto nell’ambito del patrimonio culturale, consentendo di contestualizzare l’oggetto e fornendo una precisa cronologia.

Molte delle ossa preistoriche più rare trovate dagli archeologi, per esempio, sono enormemente preziose e sono considerate parte del nostro patrimonio culturale e storico. Le ossa possono fornire molte informazioni sulla vita delle popolazioni antiche: cosa mangiavano, le loro abitudini riproduttive, le loro malattie e le migrazioni che intraprendevano. Tuttavia, le ossa non possono darci tutte le informazioni che desideriamo: il loro potenziale informativo è limitato dalla quantità di collagene conservata al loro interno.

Per coniugare l’esigenza di preservare il più possibile l’integrità dei reperti con la necessità di effettuare analisi al radiocarbonio, i ricercatori hanno quindi messo a punto un metodo innovativo che, grazie ad una telecamera con sensibilità al vicino infrarosso, permette di rilevare il contenuto medio di collagene nei campioni osservati.

Cristina Malegori, prima autrice dell’articolo e ricercatrice presso l’Università di Genova, Dipartimento di Farmacia, conferma che l’imaging iperspettrale nel vicino infrarosso (HSI) è stato utilizzato insieme a un modello chemiometrico per creare immagini chimiche della distribuzione del collagene nelle ossa antiche. Questo modello quantifica il collagene in ogni pixel e quindi fornisce una mappatura chimica del contenuto di collagene!

È estremamente difficile, costoso e dispendioso in termini di tempo analizzare tutte le ossa presenti in un sito archeologico per la conservazione del collagene e, soprattutto, comporterebbe la distruzione di materiale prezioso. Infatti, fossili umani e reperti ossei sono sempre più rari e preziosi nel tempo. A causa dell’alterazione diagenetica del collagene nel tempo, sono necessari grandi quantità iniziali di ossa paleolitiche (≥ 500 mg di materiale osseo) per estrarre collagene sufficiente per la datazione C14 con spettrometria di massa con acceleratore (AMS) (resa minima dell’1%). Inoltre, molte delle ossa archeologiche più preziose sono troppo piccole (< 200 mg di materiale osseo) o troppo belle per essere soggette a campionamento. Pertanto, è fondamentale ottenere informazioni preliminari non distruttive sulla distribuzione del collagene su un campione osseo.

È in questo contesto che la tecnica descritta nello  studio brilla davvero perché consente di ottenere informazioni sia sulla localizzazione che sul contenuto del collagene ancora presente in un campione osseo.

Giorgia Sciutto, coautrice dell’articolo e docente di chimica dei beni ambientali e culturali all’Università di Bologna, osserva  come sia completamente non distruttiva l’analisi NIR-HSI. Il tempo necessario per l’analisi di un singolo campione osseo è di pochi minuti e, pertanto, il sistema può esaminare molti campioni in un solo giorno per trovare quelli adatti all’analisi, risparmiando tempo e denaro e l’inutile spreco di materiale prezioso, riducendo notevolmente tempo, costi e distruzione di preziosi reperti ossei.

Questa tecnica dovrebbe supportare la selezione di campioni da sottoporre ad analisi al radiocarbonio in molti siti in cui i precedenti tentativi non sono stati possibili a causa della scarsa conservazione.

Questo approccio sperimentale, dunque, può fornire informazioni quantitative relative al contenuto medio di collagene presente nell’intero campione sottoposto a indagine. L’esame può essere effettuato non solo in aree piccole e localizzate (come nell’analisi a punto singolo), ma può considerare anche l’intera superficie del campione, producendo così una quantità di dati maggiore e molto più significativa. Inoltre, la combinazione del sistema HSI con la regressione PLS ha permesso, per la prima volta, su campioni di ossa antiche, non solo di determinare il contenuto complessivo di collagene ma anche di localizzarlo ad alta risoluzione spaziale (circa 30 um), ottenendo dati chimici quantitativi mappe.

Nel complesso, questa combinazione innovativa e incisiva di prescreening spettroscopico NIR-HSI e metodo al radiocarbonio fornisce, per la prima volta, informazioni dettagliate sulla presenza di collagene su ossa archeologiche, riducendo i costi di laboratorio datando solo materiali adatti al C14 e aumentando il numero di ossa archeologiche che possono essere conservate e, quindi, disponibili per ricerche future.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Università di Bologna

Radiocarbonio

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