Una nuova ricerca del Department of Archaeology, Classics and Egyptology dell’Università di Liverpool, insieme al  Dipartimento di Classici e Storia Antica dell’Università di Warwick, ha utilizzato micro scorie di oro presenti nelle monete d’argento e le tracce di inquinamento da piombo rinvenute nel ghiaccio della Groenlandia per dimostrare quanto i Romani siano stati i primi pionieri del riciclo di metalli.

L’estrazione dell’argento e la raffinazione nelle varie zecche provocava un notevole inquinamento da piombo, metallo pesante che è riuscito a penetrare nell’atmosfera, ha attraversato l’Atlantico e ha lasciato un’impronta chiarissima nel ghiaccio della Groenlandia.

Tuttavia, questa ricerca, pubblicata sulla rivista Archaeological and Anthropological Sciences, sottolinea che ci fu un drastico calo dei livelli di inquinamento da piombo, rilevati nel ghiaccio, durante la Tarda Repubblica Romana, anche se le monete argentee venivano ancora prodotte.

La ricerca afferma che durante il I e ​​il II secolo a.C., l’accesso di Roma alle miniere d’argento nella Penisola iberica e nel sud della Francia fu interrotto da un conflitto. La deliberata svalutazione dei  denarii  (la moneta d’argento predominante dei romani), attraverso l’utilizzo del rame, è spesso considerata un segno di interruzioni nella produzione dell’argento. Tuttavia, nonostante i lievi cali nella raffinatezza del metallo nelle relative monete d’argento, soprattutto all’epoca delle Guerre sociali e Civili nel I secolo a.C., non è spiegabile il motivo del calo dell’inquinamento da piombo.

Per spiegare questo fenomeno, i ricercatori di Liverpool, Jonathan Wood e Matthew Ponting, considerano che i Romani riutilizzavano l’argento, spesso saccheggiato in seguito ai conflitti in Iberia e nel sud della Francia, per coniare nuove monete.

I ricercatori, per comprendere questo evento, hanno analizzato quanto di un elemento diverso dall’argento fosse presente nelle monete: l’oro, infatti, è presente in piccole quantità nell’argento utilizzato per coniare di denarii romani.

Intorno al 120 a.C. cominciarono a circolare coni di monete con livelli di oro molto bassi al loro interno e con notevole presenza di argento dalla prima metà del I secolo a.C. Poi, nel 49 a.C., sembrerebbe entrare in circolazione una nuova varietà di argento con alti livelli di oro. I ricercatori ritengono, quindi, che, dopo il ritorno a Roma di Giulio Cesare dalle sue battaglie contro i Galli nel 49 a.C.,  il nuovo flusso di argento usato nella monetazione repubblicana del periodo provenga dai saccheggi dalle legioni cesariane.

Il documento di ricerca fa parte del  progetto Rome and the Coinages of the Mediterranean 200 a.C. – 64 d.C., dell’Università di Warwick, finanziato dal Consiglio europeo delle Ricerche, sulla comprensione della strategia monetaria romana come strumento per l’imperialismo.

Secondo Jonathan Wood, deprezzare l’argento era un modo per affrontare le fluttuazioni della fornitura di questo metallo. Un altro metodo era quello di utilizzare il metallo esistente o depredato, in seguito ai celebri conflitti bellici di Fine Repubblica, in una forma di riciclo ante litteram.

Per i romani, dunque, la forma di riciclo di metallo da utilizzare per la coniazione di monete sarebbe stato notevolmente meno costoso che estrarre nuovo argento da miniere sempre meno sfruttabili, rendendo un vantaggio alle finanze pubbliche e alla salvaguardia dell’ambiente.