martedì, 15 Ottobre 2024
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ATENE E IL MITO DELLA “DEMOCRAZIA GRECA”

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In questi anni, più che mai, storici, critici e pubblico esprimo pareri più disparati sul termine “democrazia” e sul suo “uso” nelle moderne istituzioni. La “democrazia” è un vanto della storia greca ma dietro di essa si nascondono le più disparate e indefinibili situazioni sociali, di schiavitù e disprezzo umano.

Charles-Alexis-Henri Clerel de Tocqueville, storico e uomo politico francese del XIX secolo, tra i maggiori esponenti del liberalismo ottocentesco, scrisse diversi studi sulla democrazia e sulla società americana (De la démocratie en Amérique, 1835; Démocratie en Amérique, 1840), delle vere e proprie riflessioni sulla società occidentale.

Nel capitolo 15, parte I, volume II della seconda di queste due opere, argomenta, in una eccezionale pagina, la sua diagnosi sulla effettiva natura elitaria ed esclusiva di quell antico e mitizzato modello politico e istituzionale che fu la polis democratica per eccellenza, Atene:

“Quello che si chiamava popolo nelle repubbliche più democratiche dell’antichità non rassomigliava affatto a quello che noi chiamiamo popolo. In Atene tutti i cittadini prendevano parte agli affari pubblici, ma non vi erano che ventimila cittadini su più di trecentocinquantamila abitanti, tutti gli altri erano schiavi, e compivano la maggior parte delle funzioni che spettano oggi al popolo e anche alle classi medie.

Atene col suo suffragio universale, non era dunque dopo tutto che una repubblica aristocratica in cui tutti i nobili avevano ugual diritto al governo.

Bisogna considerare la lotta dei patrizi e dei plebei in Roma dallo stesso punto divista e vedervi solo una lotta intestina fra i cadetti e i primogeniti di una stessa famiglia. Tutti in effetto partecipavano dell’aristocrazia e ne avevano lo spirito.

Inoltre bisogna notare che in tutta l’antichità i libri son< stati rari e cari, e che era molto difficile riprodurli e farli cit colare. Queste circostanze che concentravano in un piccolo numero di uomini il gusto e l’uso delle lettere, trasformavano l’élite di una grande aristocrazia politica quasi in una piccola aristocrazia letteraria. Perciò nulla prova che fra i greci e i romani le lettere siano mai state trattate come un’industria.

Questi popoli i quali non soltanto formavano delle aristocrazie, ma che erano anche nazioni molto civili e libere, hanno dunque dovuto dare alle loro produzioni letterarie i vizi particolari e le qualità speciali della letteratura dei secoli aristocratici.

Infatti basta dare uno sguardo agli scritti che l’antichità ci ha lasciati per scoprire che, se gli scrittori hanno qualche volta mancato di varietà e di fecondità nei soggetti, di arditezza, di movimento e di generalizzazione nel pensiero, hanno sempre fatto vedere un’arte e una cura ammirabile nei particolari; nulla nelle loro opere appare scritto in fretta o a caso; tutto è scritto per i conoscitori e la ricerca della bellezza ideale vi si manifesta continuamente. Non vi è letteratura che metta più in rilievo come quella degli antichi le qualità che mancano naturalmente agli scrittori delle democrazie. Non esiste dunque una letteratura che meriti più di esser studiata nei secoli democratici: questo studio è di tutti il più adatto a combattere i difetti letterari inerenti a questi secoli, poiché quanto alle qualità naturali, nasceranno spontaneamente senza che sia necessario insegnare ad acquistarle.

Su questo punto bisogna intendersi bene.

Uno studio può essere utile alla letteratura di un popolo e non essere appropriato ai suoi bisogni sociali e politici.

Se ci si ostinasse a insegnare solo la letteratura in una società in cui ciascuno sarebbe abitualmente condotto a fare violenti sforzi per accrescere la sua fortuna o per mantenerla, si avrebbero cittadini molto colti e molto pericolosi, perché, siccome lo stato sociale e politico darebbe loro tutti i giorni bisogni che l’educazione non consentirebbe mai loro di soddisfare, essi turberebbero lo Stato in nome dei greci e dei romani invece di fecondarlo col loro lavoro.

È evidente che, nelle società democratiche, l’interesse degli individui, così come la sicurezza dello Stato, esigono che l’educazione della maggioranza sia scientifica, commerciale e industriale, piuttosto che letteraria.

Il Greco e il Latino non debbono essere insegnati in tutte le scuole, ma è necessario che coloro che, per naturale tendenza o per fortuna, sono portati a coltivare le lettere, o predisposti a gustarle, trovino scuole in cui ci si possa rendere perfettamente padroni della letteratura antica ed essere penetrati interamente del suo spirito. Poche università eccellenti varrebbero meglio per raggiungere lo scopo di una moltitudine di cattivi collegi o di studi superflui che si compiono malamente impedendo di fare bene gli studi necessari.

Tutti coloro che hanno l’ambizione di eccellere nelle lettere nelle nazioni democratiche debbono spesso nutrirsi delle opere dell’antichità. E’ un’igiene salutare.

Non credo che le produzioni letterarie degli antichi siano irreprensibili, penso solamente che esse hanno qualità speciali che possono meravigliosamente servire a controbilanciare i nostri difetti particolari. Esse ci sostengono dalla parte verso cui pendiamo.”

Si mediti severamente…

 

Daniele Mancini

Per un approfondimento bibliografico:

  • C. A. H. C. de Tocqueville, La democrazia in America (1840), trad. it. Candeloro, Bologna 1932

Atene

 

 

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