RICERCA DI ARCHEOLOGIA DIGITALE SULL’ADDESTRAMENTO DELL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE AL RICONOSCIMENTO DELLE PITTURE RUPESTRI
I ricercatori della Griffith University hanno creato e testato un framework di archeologia digitale (il framework è una struttura di software progettati per rispondere ad una stessa esigenza utilizzando strumenti e tecnologie differenti) per scoprire di più sugli antichi esseri umani che hanno creato una delle più antiche forme di arte rupestre: la scanalatura delle dita.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Scientific Reports.
Le scanalature delle dita sono segni tracciati dalle dita su una morbida pellicola minerale chiamata moonmilk, presente sulle pareti delle caverne.
Sono stati condotti test di archeologia sperimentale, sia con partecipanti adulti, in una configurazione tattile, sia utilizzando visori VR, in un programma personalizzato, per verificare se i metodi di riconoscimento delle immagini potessero apprendere abbastanza dalle immagini di scanalature delle dita realizzate dagli individui moderni, per identificarne il sesso della persona che le ha create.
Le raffigurazioni che hanno utilizzato le scanalature delle dita compaiono nelle grotte di Europa e Australia e gli esempi più antichi conosciuti in Francia sono stati attribuiti ai Neanderthaliani, risalenti a circa 300.000 anni fa.
Andrea Jalandoni, archeologo digitale del Griffith Centre for Social and Cultural Research, che ha guidato lo studio, ha affermato che una delle domande chiave sulle realizzazioni a scanalature delle dita ha sempre riguardato chi le avesse realizzate.
Jalandoni ritiene che, se i segni siano stati fatti da uomini o da donne, può avere implicazioni concrete, informazioni necessarie per stabilire chi può accedere a determinati siti per motivi culturali o cultuali.
In passato, i tentativi di identificare chi aveva lasciato i segni nelle grotte si basavano spesso sulle misure e sulle proporzioni delle dita, oppure sulle misure delle dimensioni delle mani.
Tali metodi si sono rivelati incoerenti o soggetti a errori: la pressione delle dita variava, le superfici non erano uniformi, i pigmenti distorcevano i contorni e le stesse misurazioni potevano sovrapporsi notevolmente tra uomini e donne.
L’obiettivo di questa ricerca è stato quello di evitare tali presupposti e di utilizzare invece l’archeologia digitale: sono stati condotti due esperimenti controllati con 96 partecipanti adulti, in cui ogni persona ha creato nove scanalature due volte: una volta su un sostituto dell’argilla moonmilk sviluppato per imitare l’aspetto e la sensazione delle superfici delle caverne e una volta in realtà virtuale (VR) utilizzando Meta Quest 3.
Sono state scattate immagini di tutte le scanalature, che sono state poi elaborate e su di esse sono stati addestrati due comuni modelli AI di riconoscimento delle immagini. Il team ha valutato le prestazioni utilizzando parametri standard e, cosa fondamentale, ha cercato segnali che indicassero che i modelli stavano semplicemente memorizzando i dati di addestramento (sovraadattamento), anziché apprendere modelli generalizzati.
Un membro del team, Gervase Tuxworth della School of Information and Communication Technology, ha affermato che i risultati sono stati contrastanti, ma hanno rivelato alcuni spunti promettenti: le immagini VR non hanno prodotto una classificazione affidabile del sesso; anche quando la precisione in alcuni punti sembrava accettabile, la discriminazione e l’equilibrio complessivi erano deboli, ma le immagini tattili hanno funzionato molto meglio: in una condizione di addestramento, i modelli hanno raggiunto una precisione di circa l’84% e un modello ha ottenuto un punteggio di discriminazione relativamente alto!
Tuttavia, i modelli hanno appreso modelli specifici del set di dati ma c’è ancora molto lavoro da fare: lo studio ha dimostrato che un processo computazionale, da una rappresentazione tattile realistica e un ambiente di acquisizione VR a un flusso di lavoro di apprendimento automatico aperto, potrebbe essere costruito, replicato e migliorato da altri per un approccio scientifico più rigoroso.
I ricercatori, coadiuvati da Robert Haubt, coautore e ricercatore informatico dell’Australian Research Centre for Human Evolution (ARCHE), hanno pubblicato il codice e i materiali affinché altri possano replicare l’esperimento, criticarlo e ampliarlo, dimostrando che esiste una prova di concetto diventi uno strumento affidabile!
Il team ha affermato che questa ricerca ha aperto la strada ad applicazioni interdisciplinari in archeologia, medicina legale, psicologia e interazione uomo-computer, contribuendo al contempo a nuove intuizioni sulle pratiche culturali e cognitive degli esseri umani primitivi.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Griffith University


