sabato, 27 Luglio 2024
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POMPEI, LE ULTIME 72 ORE… – prima parte

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Anno 79 dopo Cristo, 24 ottobre: il Vesuvio, vulcano rimasto inattivo per 700 anni si risveglia. Intorno a mezzogiorno esplode, rilasciando più energia di una bomba nucleare e nel giro di 24 ore la città di Pompei viene rasa al suolo e sommersa sotto 5 metri di detriti vulcanici! Nessuno degli abitanti rimarrà in vita.

Ma cosa è accaduto durante i due giorni prima della tremenda eruzione? In questo articolo, suddiviso in due parti, ripercorrerò le vicende di Pompei nelle sue ultime 72 ore di vita, con alcuni approfondimenti sulle recenti scoperte. Buona lettura.

Due giorni prima di quel 24 ottobre, all’alba, gli abitanti di Pompei non avevano alcun sentore dell’orrore che avrebbero dovuto vivere: alle 7 del mattino, le strade della prospera cittadina Romana già brulicavano di gente, carri che ne solcavano le strade, percorrendo quelle tracce ancora visibili oggi sul basolato.

Durante le prime ore del giorno, le strade di Pompei erano occupate dai rifiuti provenienti da cucine, botteghe e attività commerciali varie, insieme agli escrementi umani, provocando, soprattutto nelle giornate più calde, degli odori terribili:  gli enormi blocchi di pietra collocati per attraversare la strada erano necessari anche ad evitare il contatto dei piedi dei pedoni con la sporcizia stradale che, comunque, era regolarmente ripulita da squadre di schiavi al servizio del magistrato addetto alla cura urbis.

Foto di Daniele Mancini

Già dalla mattina dell’antivigilia dell’eruzione è possibile individuare qualche indizio dell’imminente catastrofe: dalla visita di uno dei forni di Pompei, che a quell’ora doveva essere in piena attività è possibile ricostruire come si presentava una normale giornata in città, i suoi colori, i suoi suoni e i suoi profumi. Uno degli ambienti ospitava la lavorazione della materia prima, del grano, versato in enormi macine in pietra lavica, manovrate da schiavi o muli.

in un ambiente contiguo si preparavano gli  impasti, versati negli stampi circolari e passati al fornaio che si occupava della cottura vera e propria. Alcune macine giunte fino a noi, provenienti da altro ambiente, presentano resti di impasto di malta:  molto probabilmente queste vecchie macine sono state adoperate per mescolare il legante necessario per riparare le crepe nei muri,  molto comuni nelle case di Pompei soggetta a terremoti di frequenza diversa ma, spesso, dannosi.

Gli ignari cittadini pompeiani, purtroppo, avevano perso memoria della presenza del vulcano e della sua pericolosità, sottovalutando anche la frequenza dei terremoti.

Pompei era un importante centro commerciale, posta a 200 km da Roma ma che ha avuto la sfortuna di essere edificata nell’area più sismica d’Europa. Nel I secolo dopo Cristo, le campagne di Pompei erano tra le mete preferite delle personalità più in vista di Roma che vi costruivano sontuose ville che, incluso quella rinvenute in città, offrono oggi uno spaccato dei vizi e degli ozi che cittadini romani si sono concessi fino a poche ore prima dell’eruzione del Vesuvio.

Sin dagli inizi degli scavi archeologici, nel 1748, gli archeologi hanno rimosso milioni di tonnellate di detriti vulcanici rivelando lo splendore della città romana, decantata anche da Goethe, rimasta intrappolata nel tempo.

Pompei ha una superficie di circa due chilometri quadrati,  tanto quanto la Londra medievale, con un reticolo di strade che divideva le insulae della città. Al centro erano presenti le domus, le enormi ville con gli splendidi giardini nascosti; all’esterno, vi erano tutte le altre case, le botteghe artigianali e commerciali, ma anche dei fast food arte litteram.

Foto di Daniele Mancini

Sulla Via dell’Abbondanza, la strada principale di Pompei, il suo il decumano inferiore, è possibile incontrare diversi thermopolia: erano una sorta di ristoranti in cui si servivano pasti basati su una dieta mediterranea ricca di legumi e frutta, ma anche carne e pesce, le cui scorte erano tutte rigorosamente conservate nei magazzini posteriori,  incluso vino e olio, conservati nelle splendide anfore per liquidi.

A Pompei sono stati trovati oltre 100 thermopolia, tutti con i caratteristici banconi in muratura, piastrellati e a forma di L.

Nel 1915 sono stati portati alla luce una serie di ambienti appartenenti a un complesso residenziale ancora parzialmente sepolto. Secondo gli archeologi potrebbe trattarsi di un edificio adibito ad usi militari che si presenta come un complesso autonomo. E’ posto sulla Via dell’Abbondanza ed è decorato da numerosi affreschi oggi in restauro: vi è anche una rappresentazione della Vittoria Alata, strettamente legata ai militari e alla guerra; inoltre, parte superiore negli affreschi sono stati lì trovati residui di mensole in legno, caratteristiche  degli ambienti di uso militare per riporre le armi.

In altro ambiente contiguo dello stesso complesso,  numerose anfore per liquidi e garum,  ancora parzialmente sommersi nella pietra pomice generata all’eruzione,  lasciano supporre che si trattasse di un magazzino di derrate destinato al contingente militare, distrutto della pioggia magmatica.

Anche il pomeriggio pompeiano del 22 ottobre dl 79 d.C., come un normale pomeriggio, era dedicato allo svago: appena fuori dalla città, una delle migliaia di tombe mostrano come le classi agiate trascorressero le ore del loro per tempo libero: affreschi con scene di vita quotidiana, banchetti, conviviali,  schiavi, scene gladiatorie decorano la ricca tomba.

Foto di Daniele Mancini

L’Anfiteatro di Pompei era l’edificio pubblico dedicato ai divertimenti per antonomasia, uno dei più antichi di epoca romana. Eretto circa 150 anni prima dell’eruzione del Vesuvio (70 a.C.), poteva contenere fino a 15000 spettatori che assistevano volentieri ai combattimenti gladiatori, trascorrendo le ore migliori della giornata!

Recenti studi hanno stimato che è un gladiatore potesse resistere fino a dieci diversi combattimenti, prima di morire nella sabbia di un’arena. Proprio durante uno dei Ludi gladiatori, nel 59 d.C., che ebbe luogo una violenta rissa tra pompeiani e nocerini, la quale provocò numerosi feriti e anche diversi morti: a seguito di tale evento, il senato romano decise la chiusura dell’anfiteatro per dieci anni e condannò all’esilio l’organizzatore dell’evento. Solo dopo il terremoto del 62 d.C., la squalifica è stata ridotta.

 Dopo i giochi, i ricchi cittadini e le persone normali tornavano nelle proprie case: ad attendere i primi, le lussuose domus.

Una di queste, la Casa del bracciale d’oro, ha ospitato gli ultimi momenti dei propri abitanti: sono stati trovati i corpi di una donna, con un bellissimo bracciale d’oro al polso, di un uomo e di due bambini.

Le serate erano solitamente trascorse in casa, ospitando amici e parenti nel triclinio e nel giardino: il triclinio di questa casa si affacciava sul giardino, decorato da una cascata artificiale la cui acqua si riversava in una vasca nella quale gli schiavi lasciavano galleggiare i vassoi con le portate di cibo per la cena.

La dieta dei pompeiani era prettamente mediterranea e molte pietanze preparate in quei giorni e fino alle ultime ore sono state tramandate fino a noi “grazie” alla pioggia di cenere e lapilli vulcanici: cereali, olive,  pagnotte carbonizzate straordinariamente conservate, hanno contribuito a mostrare il tipo di dieta seguita dai pompeiani romani.

Prima di proseguire nella disamina delle ultime 72 ore di Pompei, è necessario un doveroso tributo a coloro che hanno perso la vita in quella tragedia. Basandosi sul rinvenimento dei resti di circa 1200 individui,  gli studiosi hanno desunto che i morti totali potrebbero essere stati oltre 3000 degli stimati 15000 abitanti circa della città.

Foto di Daniele Mancini

La rappresentazione più atroce e famosa delle vittime di Pompei sono i calchi, quelle figure che immortalano molte delle persone cadute sotto ceneri e lapilli nelle ultime terribili ore della loro vita.

I calchi non sono i corpi trasformati in pietra vulcanica e non sono nemmeno calchi ricavati da corpi rinvenuti: quando gli abitanti di Pompei sono morti, i loro resti sono stati ricoperti da cenere, pomice e altri detriti vulcanici. Nel corso del tempo, i corpi si sono decomposti lasciando delle cavità nel terreno circostante. Gli archeologi che li hanno scoperti per la prima volta hanno riempito le cavità con il gesso,  ricreando in modo dettagliato i corpi di uomini, donne e bambini nell’attimo del loro ultimo respiro.

Recentemente sono state realizzate delle tomografie assiali computerizzate a tre famosi calchi, per identificarne alcune caratteristiche fisiche e quanto sia rimasto dell’apparato scheletrico attraverso il gesso, realizzando una vera e propria analisi forense.

Il primo calco preso in considerazione e quello denominato “Il Moro“:  si pensa che fosse originario dell’Africa, forse uno schiavo o un gladiatore, dalle labbra carnose e narici larghe, rinvenuto con una barra di ferro al suo fianco, forse adoperata per aprirsi un varco tra le ceneri. Si pensa, inoltre, che fosse nudo  dalla vita in giù, perché è visibile una protuberanza nella zona inguinale.

Il secondo calco  analizzato è noto come “Numero 10” e fa parte di un gruppo di individui dececuti mentre tenta di fuggire da una delle porte di accesso di Pompei, Porta Nola. Sembra essere un maschio ed è stato rinvenuto con alcuni manufatti tra le mani.

Il terzo calco analizzato è quello del cosiddetto “Mulattiere“, così identificato perché nelle vicinanze è stato rinvenuto lo scheletro di un mulo. Il mulattiere è stato trovato rannicchiato nei pressi di una latrina e gli archeologi forensi sono riusciti a ricostruire nel dettaglio i suoi ultimi momenti:  dopo aver bussato freneticamente a un portone, si è avvolto in una coperta ed è tragicamente morto; si è ipotizzato che indossasse un mantello con cappuccio.

La TAC al Mulattiere, il calco è stato realizzato nel 1930,  rivela gran parte delle ossa di quel corpo e che fosse un uomo adulto: le ossa delle gambe, la spina dorsale, l’osso iliaco, che conferma il genere maschile; mancano completamente le ossa delle mani e delle braccia e l’analisi forense smentirebbe la teoria che l’individuo avesse usato le mani per coprirsi la bocca e non respirare cenere e fumo. Quindi, quando lo scheletro è stato scolpito, negli anni 30, è probabile che le braccia le mani siano state create ad arte. Resta confermata la posizione fetale, iconico simbolo dei calchi di Pompei.

Il calco del Numero 10,  realizzato nel 1978, conserva la maggior parte delle ossa tra cui il bacino,che identifica l’individuo in un personaggio femminile; il calco del Moro è un maschio giovane, non un  al gladiatore o uno schiavo virile, come pensato fino a oggi.

— FINE PRIMA PARTE —

Daniele Mancini

Parco Archeologico di Pompei

4 pensieri riguardo “POMPEI, LE ULTIME 72 ORE… – prima parte

  • Marco

    Istruttivo, quanto scrivi sembra naturale eri presente? Coinvolgi il lettore.
    BRAVO.

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    • Daniele Mancini

      Marco, grazie per leggermi e per gli splendidi complimenti

      Rispondi
  • Gabrielli Rosanna

    GRAZIE DANIELE PER AVER RESO PUBBLICHE LE TUE SCOPERTE MA SOPRATUTTO FOTO CON IMMAGINI CHE NON SI SAREBBE CAPITO SENZA LA SPIEGAZIONE A COSA SERVIVANO, TIPO I FORNI O LE STANZETTE DELLE PROSTITUTE. GRAZIE E BUON LAVORO. Adoro l’Egitto e la sua discendenza dei Re, ci sono stata 25 anni fa e vorrei tornarci, certo tanto sarà cambiato nei ritrovamenti.

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    • Daniele Mancini

      Carissima Rosanna, grazie per leggermi. Le scoperte su Pompei non sono mie ma di studiosi più eminenti che sono felice di rendere comprensibili. Circa l’Egitto, torna appena puoi, lo troverai cambiato ma con il fascino immutato!

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