venerdì, 26 Luglio 2024
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NUOVA INTERPRETAZIONE SUL CELEBRE “ANELLO DI PILATO”

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Per 2000 anni, un anello di rame è rimasto sepolto tra le stratigrafie dell’Herodium, nel Deserto della Giudea, fino agli scavi dell’archeologo Gideon Forster negli anni ’60. Da quel momento, l’anello con sigillo ha trascorso altri 50 anni nei magazzini dell’Israel Antiquity Authority e solo nel 2018, alcuni studiosi lo hanno “riletto” e decifrato l’iscrizione presente deducendo che potrebbe essere appartenuto, o in qualche modo essere associato, al prefetto della Giudea per circa un decennio durante il regno di Tiberio, Ponzio Pilato.

Un nuovo esame e una nuova lettura dell’anello suggeriscono, invece, che potrebbe aver avuto un padrone molto diverso.

Il manufatto era stato rinvenuto durante lo scavo di un cortile del palazzo-fortezza nel 1968, nello strato di detriti detriti che ricoprono il portico ed era stato datato tra il I secolo a.C. e la metà del I secolo d.C.

L’immagine sull’anello mostra un cratere di terracotta e lettere greche incise su entrambi i lati: ПI (pi) a destra e ɅATO (lato) a sinistra. Leah Di Segni, esperta di epigrafia greca, ha suggerito di leggerlo come una sola parola: PILATO.

Nel 2018 un team di studiosi tra cui Forster e Roi Porat, l’attuale funzionario archeologo dell’Herodium, ha pubblicato un articolo sullo stile dell’anello e sulla specifica immagine del cratere, un tipico simbolo ebraico del tempo.

La loro conclusione, basata sulla lettura di Leah Di Segni dell’iscrizione, la sua datazione, sul fatto che fosse stato trovato nell’Herodium, il suo stile e materiale di realizzazione e l’iscrizione che reca il termine “Pilato”, probabilmente esplica che il manufatto non apparteneva a Ponzio Pilato ma, forse, a un membro della famiglia, o anche uno schiavo liberato.

Werner Eck, del Dipartimento di storia antica dell’Università di Colonia, in Germania, e Avner Ecker del Dipartimento di studi e archeologia Land of Israel dell’Università Bar Ilan, presentano una lettura alternativa sulla rivista Atiqot e propongono un’interpretazione diversa.

L’Herodium è una fortezza costruita intorno tra il 30 e il 15 a.C. dal re Erode il Grande, posizionato strategicamente al confine tra la Giudea, l’Idumea e il deserto della Giudea, 10 chilometri a sud di Gerusalemme e 5 chilometri a sud-est di Betlemme.

Una volta che Erode ebbe consolidato il suo governo in Giudea, stabilì una sede alternativa del potere presso l’Herodium, permettendogli di governare la Giudea e allo stesso tempo prendere le distanze dalle tensioni religiose e dalla leadership religiosa di Gerusalemme, che, per usare un eufemismo, aveva un rapporto teso con il “cliente romano” Erode.

Durante la prima rivolta ebraica contro i romani, i ribelli ebrei conquistarono l’Herodium nel 66 d.C. e mantennero il controllo fino alla loro sconfitta da parte dei romani nel 71 d.C., dopodiché una guarnigione romana fu di stanza nel sito.

Cinquant’anni dopo scoppiò un’altra rivolta ebraica: la rivolta di Bar-Kokhba (132-136 d.C.), nota anche come la seconda rivolta ebraica. L‘Herodium fu conquistato ancora una volta dai ribelli, e ancora una volta usarono la fortezza come posto di comando e centro amministrativo. Dopo la sconfitta di Bar Kokhba, l’Herodium sarebbe rimasto abbandonato per secoli, fino al periodo tardo romano e bizantino, quando sarebbe stato utilizzato dal IV al VII secolo d.C.

Oggi gli arabi locali chiamano il sito Jabal al-Fureidis, che significa “Montagna del Piccolo Paradiso”. Dalla sua cima, puoi vedere il deserto della Giudea e, nelle giornate limpide, intravedere Gerusalemme e Betlemme in lontananza.

Considerando che l’anello è stato rinvenuto all’interno dello strato archeologico associato alla fase di dominazione romana e che Pilato è un nome raro, e che a quel tempo non si conoscono in Giudea altre persone che usassero il cognomen Pilatus, la possibilità che potesse essere associato a Pilato sembrano plausibili.

Secondo Eck ed Ecker, anche se Pilato regnava dall’Herodium e anche se vi sono state rinvenute monete del suo periodo di governo, l’associazione con lui non è plausibile.

Ponzio Pilato deteneva lo stimato grado della classe equestre, un cavaliere, che era il secondo più alto status basato sulla proprietà nell’antica Roma, posizionato appena sotto la classe senatoriale.

Storicamente, è noto che gli Equites ostentassero anelli con sigillo come status symbol, donandoli anche ai loro subordinati o ai loro cari, ma non recavano un cratere in stile ebraico.

In secondo luogo, durante il periodo in questione, anche se le monete (e questo anello!) avevano iscrizioni greche, i funzionari romani usavano il latino come lingua amministrativa. Il greco sarebbe stato adottato come lingua dominante nell’est dell’impero solo molto più tardi.

Ultima ma non meno importante è la questione del nome. I nomi romani comprendevano tre componenti: il praenomen (nome di battesimo), il nomen (cognome o gens) e il cognomen.

Ai tempi di Pilato, il cognomen era come un soprannome, qualcosa di personale, non qualcosa che sarebbe stato conferito a un altro membro della famiglia o a uno schiavo. Pertanto, anche se Pilato avesse donato un anello a uno schiavo suo subordinato, il nome di quella persona non avrebbe avuto “Pilato” come cognomen.

Eck ed Ecker, ritengono che possa trattarsi anche di due parole separate, come appaiono, e abbreviate.

In diversi documenti antichi, ɅATO era usato per riferirsi a una cava o alla professione di tagliapietre. In tal caso, ПI potrebbe potenzialmente essere l’abbreviazione del nome di uno specifico tagliapietre, suggerendo che l’anello appartenesse a lui. In alternativa, ПI potrebbe anche stare per ‘pittakion’, una parola greca che significa documento scritto o tavoletta. Questa parola serve anche come origine della parola ebraica ‘petek’, che denota una piccola nota o documento.

In Egitto esisteva un’istituzione chiamata Pittakion, era un collettivo di proprietari terrieri il cui leader deteneva il titolo di Pittakiarch. Si noti che non vi è, tuttavia, alcuna prova di un Pittakiarch che abbia un anello con sigillo, o di un Pittakion nella Giudea romana. Infine, “Latos” e “Leitos erano nomi greci conosciuti nell’antichità, anche se non erano comuni.ne o nel rinnovamento dell’Herodium durante il tempo di Erode, o il dominio romano

In questo scenario, l’iscrizione sull’anello potrebbe appartenere a “Pittakiarch detto Latos“, forse uno scalpellatore di nome Pi e Eck ed Ecker sottolineano è che, per motivi linguistici, artistici e storici l’anello non poteva appartenere a Pilato.

I ricercatori sperano, dunque, che in futuro emergano emergano più parallelismi nella documentazione epigrafica e aiutino a tradurre i geroglifici del documento.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

2 pensieri riguardo “NUOVA INTERPRETAZIONE SUL CELEBRE “ANELLO DI PILATO”

  • Giulio Facchetti

    Questa nuova interpretazione è penosa. Questi Eck & Ecker hanno scritto cose sbagliate sia sul piano dell’onomastica latina si su quello linguistico-epigrafico, per arrivare a una proposta che presuppone “integrazioni” indimostrabili, complicando inutilmente e senza possibilità di verifica qualcosa di semplice e comprensibile. Il contrario del rasoio di Occam.

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    • Daniele Mancini

      Carissimo Giulio, grazie per il giudizio, “severo, ma giusto”!

      Rispondi

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