VALLO DI ADRIANO: IL CONFINE DELL’IMPERO
Quando l’imperatore Adriano visitò la provincia di Britannia nel 122 d.C. aveva il pieno comando dell’intero Impero Romano, che si estendeva per circa 4000 chilometri a est, dalla Gran Bretagna settentrionale all’odierno Iraq, e per 2400 chilometri a sud fino al deserto del Sahara. Era diventato imperatore cinque anni prima, dopo una controversa adozione post-mortem, da parte del suo predecessore e tutore Traiano, e governò fino alla sua morte nel 138, all’età di 62 anni, probabilmente per un infarto. In poco più di 20 anni, divenne, secondo un’antica fonte anonima, il “più versatile” degli imperatori romani. Era un soldato esperto in battaglie che combatté con Traiano in Dacia, un abile politico che ideò il consolidamento del territorio dell’impero, un fedele mecenate e amante delle arti e un viaggiatore instancabile che visitò quasi metà dell’impero durante il suo regno.
Adriano è forse più noto, tuttavia, come uno dei più prodigiosi costruttori di Roma: in questo, seguì le orme dell’imperatore Augusto, un sovrano che comprese la capacità intrinseca dell’architettura di esprimere ideologia e potere. Per gran parte del regno di Adriano, l’impero visse in relativa pace: la Pax Romana era al suo apice. Pertanto, non ottenne le notevoli vittorie militari di alcuni dei suoi predecessori ma si rivolse all’arte e all’architettura come un modo per legittimare il suo governo, dimostrare il dominio romano, consolidare la sua eredità e lasciare la sua impronta duratura sul paesaggio dell’impero.
A Roma stessa, l’imperatore patrocinò numerosi progetti edilizi, sia per arricchire la vita dei suoi cittadini sia per legarsi al passato della città. Sul sito del Pantheon, lo spettacolare tempio a cupola nel cuore di Roma che si ritiene sia stato completato da Adriano, egli legò il proprio governo a uno degli uomini più venerati di Roma, il console Marco Agrippa del I secolo a.C. , a sua volta un grande costruttore. Adriano scelse di mantenere la facciata del tempio di Agrippa, molto più antico, sul fronte del Pantheon, fornendo allo stesso tempo una nuova sede per il culto di tutti gli dei.
Adriano progettò anche quello che si ritiene essere stato il più grande tempio dell’antica Roma, un enorme edificio in onore della dea Venere Felice, “portatrice di buona fortuna”, e Roma Aeterna, una doppia dedica il cui simbolismo, come l’immenso tempio stesso, era impossibile da ignorare. Fuori Roma, Adriano dimostrò il suo amore personale per tutto ciò che era greco e lo combinò con il chiaro messaggio che Roma ora era al comando. Ad Atene, ad esempio, restaurò l’Olympieion greco, ovvero il Tempio di Zeus Olimpio, ed eresse una nuova statua in oro e avorio (crisoelefantina) dedicata al dio, ma collocò anche quattro statue di se stesso di fronte al santuario principale e un grande arco in stile romano all’ingresso del temenos, il santuario.
Nelle province, come a Roma, l’architettura assolveva a scopi tanto simbolici quanto utilitaristici. Adriano patrocinò la ristrutturazione di città antiche come Smirne, oggi nella moderna Turchia, ne fondò di completamente nuove come Antinoopoli in Egitto e commissionò la costruzione di architettura pubblica, teatri, templi, archi, edifici municipali e innumerevoli statue e iscrizioni, ovunque andasse. Questi siti spesso esibiscono una mescolanza di stili e gusti locali e importati, unificando il vasto territorio in un modo che proclami e politiche spesso non riuscivano a fare. Ma c’era un luogo in cui l’imperatore riteneva fosse necessario qualcosa di completamente diverso.
Quando Adriano visitò la Britannia, il suo piano di porre fine alla politica di Traiano, volta a estendere a tutti i costi il territorio dell’impero, si era già concretizzato in Mesopotamia, dove aveva ceduto le terre appena conquistate a est dell’Eufrate e ripristinato il confine nella sua posizione precedente.
Anche in questo, seguì le orme di Augusto, che aveva sposato il principio secondo cui i confini dovevano essere difendibili e, ove possibile, delimitati da confini naturali, come l’Eufrate, il Reno, il Danubio e l’Oceano Atlantico. Ma la Gran Bretagna non ha ampi fiumi che ne attraversano il centro a delineare il confine tra la provincia di Britannia e le terre a nord, occupate da tribù indigene celtiche con cui i Romani entrarono spesso in conflitto e che, all’inizio del regno di Adriano, erano in rivolta.
Adriano decise che l’unica soluzione fosse costruire un muro, un vallo. Esistevano già fortificazioni artificiali lungo alcune parti delle altre frontiere dell’impero, per lo più costruite in legno, terra e torba. Ma su nessun’altra frontiera un imperatore costruì un manufatto possente fatto quasi interamente di pietra: il formidabile edificio oggi noto come Vallo di Adriano, gran parte del quale sopravvive ancora oggi.
Il Vallo di Adriano si estendeva per quasi 118 chilometri, ovvero 80 miglia romane, l’intera larghezza della Britannia, da Wallsend sul fiume Tyne a est fino a Bowness-on-Solway a ovest. Inizialmente la parte orientale del vallo era costruita in pietra, la metà occidentale in torba e legno, ma il progetto del vallo cambiò poco dopo la sua costruzione. La sua larghezza complessiva fu ridotta a circa due metri e mezzo, o anche meno in alcuni punti a seconda del terreno e il tratto in torba e legno di 30 miglia, da Bowness a est fino al fiume Irthing, iniziò a essere sostituito dalla pietra, sebbene questa modifica non sarebbe stata completata per decenni.
La maggior parte della costruzione fu completata in sei anni, principalmente da 15.000 soldati delle tre legioni romane di stanza in Britannia all’epoca, la II Augusta, la VI Victrix e la XX Valeria Victrix, insieme ad alcuni membri della flotta romana, utilizzando l’ampia disponibilità di pietra locale e le caratteristiche naturali del paesaggio, e in gran parte senza l’uso di malta. Le legioni romane avevano tutta la competenza necessaria per costruire il muro perché viaggiavano con i propri geometri, ingegneri, muratori e carpentieri.
Il monaco, storico, divulgatore scientifico e teologo medievale Beda il Venerabile, descrive il muro come alto 3,6 metri, sebbene alcuni archeologi ritengano che un tempo potesse essere più alto di qualche metro. A ogni miglio romano lungo il percorso, c’era un castello miliare fortificato, e tra ogni castello miliare c’erano due torri di osservazione. C’erano anche forti, probabilmente 16 in totale, distanziati di circa 11 chilometri l’uno dall’altro. Per aumentarne l’efficacia e creare una zona militare, a sud delle mura fu costruito un fossato chiamato Vallum, profondo 5,8 metri e largo 3 metri, fiancheggiato da tumuli. Un fossato a forma di V, profondo 3 metri e largo 8,5 metri, fu scavato sul lato nord delle mura come ulteriore misura difensiva.
Quando era completamente presidiato, non dalle legioni che lo avevano costruito, ma da reggimenti di fanteria e cavalleria ausiliari provenienti dalle province, al suo apice sotto Adriano, quasi 10.000 soldati erano di stanza sulle mura.
Gran parte delle attuali ricerche archeologiche e storiche sul Vallo di Adriano si concentrano sulla questione del suo scopo. A prima vista, questo potrebbe sembrare ovvio: se a nord ci sono tribù ostili e si vuole tenerle fuori, si costruisce una solida cinta difensiva. Infatti, l’autore tardo-romano della biografia di Adriano nella Historia Augusta afferma che Adriano “fu il primo a costruire un muro di 80 miglia da mare a mare per separare i barbari dai Romani”.
Questa visione, indubbiamente parziale, non è l’unica risposta possibile e, come per gli altri suoi progetti di costruzione in tutto l’impero, Adriano probabilmente aveva in mente molteplici obiettivi. Il muro fu costruito anche per tenere le persone all’interno, entro i confini di una provincia romana. Permetteva ai Romani di dirigere il traffico civile in entrata e in uscita dall’impero, un’arma potente per esercitare il controllo economico su coloro che desideravano accedere ai mercati romani.
La costruzione e la manutenzione del muro fornirono anni di lavoro a migliaia di soldati che, in particolare fino alla fine del II secolo, avevano ben poco da fare a causa della relativa calma che prevaleva in tutto l’impero.
Al di là delle sue finalità pratiche, l’impatto psicologico del vallo deve essere stato enorme. Per quasi tre secoli, fino alla fine del dominio romano in Britannia nel 410, il Vallo di Adriano fu la più chiara rappresentazione possibile della potenza, dell’intraprendenza e della determinazione di un singolo imperatore e del suo impero.
La conquista romana della Britannia iniziò sul serio a metà del I secolo d.C. Sebbene i Romani fossero giunti sull’isola un secolo prima, le ribellioni avevano costretto Giulio Cesare a tornare sul continente. La Britannia rimase libera fino al 43 d.C. , quando l’imperatore Claudio guidò una forza d’invasione composta da ben 40.000 legionari e truppe ausiliarie. La completa sottomissione dell’isola avrebbe richiesto decenni, ma da quel momento in poi l’esercito romano lasciò il suo segno indelebile.
Al tempo della costruzione del Vallo di Adriano, in Britannia si trovavano probabilmente circa 35.000 soldati romani e il doppio delle persone coinvolte nelle installazioni militari. Ipotizzando una popolazione totale sull’isola di circa uno o due milioni di persone, fino al 10% dei suoi abitanti era sostenuto dall’impero. Tutto questo ebbe un impatto enorme sull’ambiente, sul commercio, sull’economia, sulla legge e l’ordine pubblico, sulla governance e, in effetti, su ogni aspetto della vita.
Sebbene il suo effetto su alcuni segmenti della società, come la popolazione nativa della Gran Bretagna, non sia ben compreso, si è appreso molto, soprattutto negli ultimi 100 anni, dagli scavi di siti situati sul Vallo e ad esso associati. Il Vallo di Adriano è un microcosmo del mondo romano: la sua strategia militare, le tecniche di costruzione, la cultura materiale e la vita non solo dei suoi soldati, ma anche delle migliaia di uomini, donne e bambini che vivevano lungo il confine settentrionale dell’impero.
Daniele Mancini
Per ulteriori info: Andrew Birley & Vindolanda