Quando, nel 1991, Ötzi, l’Uomo venuto dal ghiaccio, fu ritrovato in una gola del Passo Tisenjoch, nelle Alpi tirolesi, suscitò un’enorme sorpresa per la comunità archeologica.

Il team di studiosi confermò immediatamente che il ritrovamento fu un unicum archeo-scientifico, preservato anche grazie a circostanze fortuite. È stato ipotizzato che la “mummia” con i manufatti associati fosse stata rapidamente ricoperta dal ghiaccio prodotto dal ghiacciaio circostante e fosse rimasta sepolta fino allo scioglimento causato dalla calda estate del 1991.

Sono trascorsi ormai più di 30 anni da quando Ötzi è apparso e in un nuovo studio è offerto uno sguardo più da vicino su come il ritrovamento possa essere compreso beneficiando, oggi, della maggiore conoscenza acquisita da oltre due decenni di indagini su altri siti archeologici glaciali e da precedenti indagini paleobiologiche sul ritrovamento.

Alla luce delle date al radiocarbonio e delle nuove prove glaciologiche relative al bilancio di massa, è probabile che Ötzi non sia stato definitivamente sepolto nel ghiaccio subito dopo la sua morte, ma che la gola in cui giaceva sia stata ripetutamente esposta nei successivi 1500 anni. La natura del ghiaccio che ricopre il sito è comunemente descritto come un ghiacciaio che scivola in modo basale. Sulla base delle prove disponibili, questo ghiaccio è meglio compreso come un campo di neve e ghiaccio immobile e stazionario, ghiacciato fino al substrato roccioso.

I manufatti danneggiati rinvenuti con Ötzi sono stati probabilmente deteriorati dai tipici processi postdeposizionali che occorrono nei siti archeologici glaciali e non, come sostenuto in precedenza, durante lo scontro  precedente alla fuga di Ötzi dalla valle sottostante, comunemente descritta come un ghiacciaio a scorrimento basale.

La parte superiore di un corpo umano è stata vista sporgere dal ghiaccio in una gola nel passo, sul versante italiano del confine italo-austriaco, e la datazione al radiocarbonio su tessuti e ossa hanno fornito una fascia di età di 5300-5160 BP (before present, ndr). La scoperta divenne un sensazionale evento mondiale e la mummia e i resti associati sono forse l’insieme di reperti archeologici meglio studiato e più ampiamente pubblicati di sempre. La ricerca è ancora in corso e continuano a emergere nuovi dettagli. Ötzi è divenuto anche un catalizzatore per gli studi sulla storia glaciale delle Alpi durante l’Olocene

Il nuovo studio è stato pubblicato sulla rivista The Holocene da Lars Pilø, Thomas ReitmaierAtle Nesje e smentisce la teoria prevalente sull’eccezionale conservazione di Ötzi dopo uno scontro e la sua morte causata da assideramento in una gola alpina ricoperta dal ghiaccio fino al 1991.

I ricercatori sostengono che Ötzi non sia morto dove è stato trovato. Inoltre non è morto in autunno e non è stato coperto di ghiaccio ininterrottamente per tutti questi anni, che il suo equipaggiamento non è stato danneggiato durante uno scontro ma dall’attività naturale dovuta al tempo. Inoltre, i glaciologi hanno confrontato mappe vecchie e nuove, nonché grafici delle altezze delle montagne, per scoprire esattamente quanto fosse spesso il ghiaccio che ricopriva Ötzi.

L’esperto archeologo glaciale Lars Pilø è uno dei ricercatori dietro questa nuova revisione del ritrovamento di Ötzi e, ovviamente, ritiene che Ötzi sia “il Santo Graal” dell’archeologia glaciale. Ma più lo stesso Pilø diventava esperto in questo campo, più sentiva che la storia di Ötzi non era del tutto giusta.

La vicenda continua…