giovedì, 28 Marzo 2024
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TOP 10 DELLE SCOPERTE ARCHEOLOGICHE 2020 – prima parte

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La rivista ARCHAEOLOGY, una pubblicazione dell’Archaeological Institute of America, pubblica la sua classifica Top 10 delle scoperte archeologiche 2020, secondo gli editori della rivista stessa. Per quelle del 2019, clicca qui.

Il 2020 è stato un anno molto particolare per mille e un motivo ma la ricerca archeologica nel mondo e in Italia ha continua indefessa. Buona lettura.

 

SAQQARA, EGITTO. All’interno di tre pozzi sepolcrali rinvenuti in questo 2020 in una sezione della necropoli di Saqqara, la sezione conosciuta come Necropoli degli Animali Sacri, gli archeologi hanno portato alla luce 100 sarcofagi in legno dipinti con colori ancora vivi contenenti i resti mummificati di individui che hanno iniziato il loro viaggio nell’aldilà circa 2.500 anni fa. I sarcofagi sigillati sono stati trovati impilati l’uno sull’altro accanto a 40 statue della divinità funeraria Ptah-Sokar-Osiris e a una scultura in bronzo del dio Nefertum. Sebbene i pozzi siano stati riaperti e contaminati più volte nell’antichità da antichi tombaroli, i moderni archeologi sono riusciti a datare tutte le sepolture alla XXVI dinastia (688–525 a.C.).   

DAL MONDO. Dagli anni ’90 al 2020, il biogeochimico Richard Evershed dell’Università di Bristol ha cercato di trovare un metodo per datare accuratamente al radiocarbonio i manufatti ceramici. Gli archeologi hanno utilizzato il metodo dello stile per datare manufatti ceramici e i siti di rinvenimento: spesso queste datazioni hanno dovuto essere confermate utilizzando metodi diversi, come la datazione al radiocarbonio dei materiali organici associati o la dendrocronologia, l’analisi degli anelli di accrescimento degli alberi. La nuova tecnica elaborata da Evershed consente ai ricercatori di datare direttamente al radiocarbonio i residui di grasso animale all’interno dei contenitori ceramica. Il suo team è stato, dunque, in grado di isolare i composti organici da campioni ceramici che pesano appena due grammi e di rilevare la minuscola quantità di carbonio di acidi grassi che rimane nei residui lasciati da latte, formaggio o carne. La possibilità di datare direttamente la ceramica in questo modo, quindi, offre agli archeologi una nuova opzione. “Ti offre un nuovo punto di ancoraggio”, afferma Evershed. Il confronto studio è stato effettuato analizzando un sentiero di legno sopraelevato che attraversava una zona umida nel Somerset, in Inghilterra, noto come il sito di Sweet Track. La dendrocronologia eseguita negli anni ’80 aveva rivelato che la costruzione del sentiero iniziò nell’inverno del 3807 a.C. Le date delle ceramiche trovate vicino al tracciato corrispondevano alla data ottenuta attraverso la dendrocronologia. Nel sito di Catalhoyuk, in Turchia, databile all’inizio del Neolitico, le date di quattro frammenti di ceramica corrispondono anche alla cronologia conosciuta del sito, circa 6700–5650 a.C. Evershed spera che la tecnica consentirà ai ricercatori di saperne di più sulle origini dell’addomesticamento degli animali e quando si siano verificati i cambiamenti nelle diete preistoriche.

NORD EUROPE E GROENLANDIA. l più grande studio mai condotto sul DNA vichingo ha rivelato una grande quantità di informazioni, offrendo in qnuovi dati sulla diversità genetica e sulle abitudini di viaggio dei vichinghi. L’ambiziosa ricerca ha analizzato il DNA prelevato da 442 scheletri rinvenuti in più di 80 siti vichinghi nel nord Europa e in Groenlandia. I genomi sono stati poi confrontati con un database genetico di migliaia di individui moderni per cercare di accertare chi fossero realmente i vichinghi e dove si avventurassero. Secondo il genetista Rasmus Nielsen dell’Università della California, Berkeley, u no degli obiettivi primari del progetto era comprendere meglio la migrazione vichinga: lo studio ha scoperto che i gruppi umani, che tradizionalmente si pensa provenissero solo da Norvegia, Danimarca e Svezia, erano geneticamente molto più diversi del previsto. Secondo Eske Willerslev dell’Università di Copenaghen, uno dei risultati più inaspettati è stato che l’era dell’esplorazione vichinga potrebbe essere stata effettivamente guidata da estranei. I ricercatori hanno scoperto che all’apice dell’era vichinga, tra l’800 e il 1050 d.C., i geni confluivano in Scandinavia da individui che vi arrivavano dall’Europa orientale e meridionale e persino dall’Asia occidentale e viceversa, con chiare evidenze genetiche differenti dai classici capelli chiari e occhi chiari. Ad esempio, due individui che furono deposti nelle Isole Orcadi scozzesi con corredi vichinghi e in stile tradizionale vichingo erano geneticamente legati ai Pitti della Scozia e agli abitanti moderni dell’Irlanda. I raid vichinghi in partenza da un determinato paese, secondo lo studio, tendevano a viaggiare costantemente verso una particolare destinazione. Le spedizioni dalla Svezia di solito andavano verso gli Stati baltici, la Polonia e l’Ucraina; i vichinghi norvegesi tendevano a navigare verso l’Islanda, la Groenlandia e l’Irlanda; e quelli dalla Danimarca si avventurarono prevalentemente in Inghilterra. Lo studio ha anche stabilito che le spedizioni vichinghe a volte comprendevano gruppi di individui anche imparentati. L’analisi di 41 resti scheletrici di due sepolture in Estonia indica che probabilmente provenivano da un piccolo villaggio in Svezia e che quattro erano fratelli, sepolti l’uno accanto all’altro.

CITTA’ DEL MESSICO. I dettagli delle vite di tre giovani uomini deposti in una fossa comune del XVI secolo a Città del Messico sono stati pubblicati nel 2020 dai ricercatori che hanno condotto analisi isotopiche, genetiche e osteologiche sui loro resti. In particolare, sembra che tutti e tre siano nati in Africa occidentale: i denti degli uomini risultano consumati in forme simili a quelle descritte dai viaggiatori europei coevi giunti in Africa occidentale e alle modifiche dentali riscontrate da alcuni gruppi umani nella regione oggi. Gli scheletri furono originariamente scoperti negli anni ’80, quando la costruzione della metropolitana rivelò un ospedale per indigeni dell’era coloniale per gli indigeni, confermando la presenza di un gran numero di individui di origine africana che furono rapiti e trasportati in Nuova Spagna. Gli scheletri mostrano anche prove di un intenso lavoro fisico e di traumi violenti. Secondo l’archeogenetista Rodrigo Barquera, del Max Planck Institute for the Science of Human History, quegli individui erano parte della prima generazione di africani ridotti in schiavitù e condotti in nel Messico costiero negli anni venti del XVI secolo. Potrebbero aver lavorato duramente in una piantagione di zucchero o in una miniera prima di ammalarsi durante un’epidemia, spiegando la loro presenza in ospedale. L’analisi isotopica dei loro denti, che può determinare l’origine di una persona e il tipo di cibo consumato durante l’infanzia, era coerente con gli ecosistemi dell’Africa occidentale e il loro DNA ha rivelato che tutti e tre hanno condiviso l’ascendenza dell’Africa occidentale. Tuttavia, gli uomini non erano imparentati tra loro e il team non poteva collegarli a una popolazione specifica, forse scomparsa dalla documentazione storica.

TURKMEN-KARAHOYUK, TURCHIA. Durante l’esecuzione di un’indagine di superficie all’inizio del  2020 presso l’antico sito di Turkmen-Karahoyuk, nel sud della Turchia, un team guidato dagli archeologi James Osborne e Michele Massa dell’Università di Chicago ha fatto una scoperta sorprendente in un canale non lontano dal tumulo: una stele di pietra recante geroglifici in Luvio, lingua indoeuropea appartenente al sottogruppo luvio del ramo anatolico parlata a sud ovest della capitale dell’impero ittita. In base alla forma dei caratteri, l’iscrizione è stata datata all’VIII secolo a.C. e registra le conquiste militari del “Gran Re Hartapu“, un sovrano precedentemente conosciuto solo dalle iscrizioni trovate in due vicini santuari in cima a una collina. Quei monumenti enigmatici non offrono dettagli sulle date o sull’estensione del suo regno. La nuova iscrizione, secondo Osborne, stabilisce Hartapu come un leader neo-ittita che afferma di aver conquistato il ricco regno di Frigia nell’Anatolia centro-occidentale e, in un solo anno, di aver sconfitto una coalizione di 13 re dell’età del ferro anatolica. Sulla base delle ceramiche che hanno recuperato dal tumulo del sito, i ricercatori hanno stabilito che, intorno al 1400 a.C., Turkmen-Karahoyuk si era sviluppata da piccolo insediamento a centro regionale esteso su oltre 120 ettari.

–CONTINUA–

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: archaeology.org 2020

 

 

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