giovedì, 28 Marzo 2024
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TEATE MARRUCINORUM, NUOVI FRAMMENTI DI ARCHEOLOGIA URBANA

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Anni di oblio archeologico hanno pervaso la città di Chieti, l’antica Teate capitale del fiero popolo marrucino di straboniana memoria e non solo: infatti, se escludiamo l’intervento che ha “riportato” alla luce la cisterna dei Tempietti romani, ad opera di un manipolo di archeologi, tra i colleghi Maria di Iorio, Francesco Morra e chi vi scrive, e l’intraprendente gruppo speleologico CARS, guidato da Errico Orsini, quello chiuso pochi giorni fa è il primo scavo archeologico che abbia interessato la città da anni, un intervento di archeologia urbana di importante spessore.

Le indagini di archeologia preventiva non hanno interessato i siti archeologici della città, oggetto, lo ricordo per chi lo dimentica costantemente, di un importante progetto di archeologia urbana, restauro e valorizzazione già finanziato che solo l’attuale pandemia mondiale ne ritarda l’attuazione, ma la piazza principale della città, la Piazza Grande di settecentesca memoria, oggi conosciuta come Piazza S. Giustino (la piazza della cattedrale, per intenderci) o, toponomasticamente, Piazza Vittorio Emanuele II, finalmente riqualificata dopo anni di immobilismo da parte dell’amministrazione comunale uscente.

La Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Abruzzo per le Province di Chieti e Pescara, in una recente conferenza stampa di concerto con il Comune di Chieti, ente committente dei lavori di riqualificazione della piazza, ha mostrato i risultati preliminari degli scavi di archeologia urbana del settore occidentale che proseguiranno non per approfondire le evidenze archeologiche rinvenute che, a parere di chi scrive, mostrano veramente poco della storia della città, ma per monitorare eventuali presenze archeologiche nell’altra metà, il settore orientale, che potrebbe riservare i rinvenimenti più significativi, in base alla documentazione storica presente negli archivi.

Sulla rivista Notizie degli Scavi di Antichità comunicate alla Regia Accademia dei Lincei del gennaio 1880 si riporta quanto segue:

“IX. Chieti — Avendo il municipio ordinata la costruzione di una cisterna nella piazza Vittorio Emanuele, durante i lavori di scavo si rimisero allo scoperto alcuni avanzi di antichi edifici. Intorno ad essi il sig. Prefetto della provincia in nome della Commissione conservatrice dei monumenti, con un rilievo topografico eseguito dall’ing. arch. prof. G. Manzella, trasmise una relazione redatta dall’egregio commissario avv. Zecca, ove si contengono molte notizie relative ad altri rinvenimenti di antichità, avvenuti per lo passato nella capitale dei Marruccini. […]”

L’articolo riporta stralci della relazione dello Zecca su uno dei primi interventi di archeologia urbana della città:

“Fra le gradinate anteriori del tempio e del sottempio di S. Giustino, alla profondità di met. 1,70 dall’attuale livello della piazza Vittorio Emanuele, sono apparsi i ruderi in parola, consistenti in in quattro muri della spessezza di met. 0,60 ridotti ora all’altezza di soli met 1,60, con un metro appena di fondazione. […] E’ rimarchevole intanto, di tutta la parte visibile di esso trovasi incassata in un banco di creta calcarea di ultima formazione, a strati orizzontali, che si eleva fino al piano della piazza, e mostrasi vergine affatto, senza vestigia di riempimento, meno nell’interno de’ ruderi, protraendosi verso sud, lungo la gradinata del sottempio, per altri met. 8.50 all’incirca.” […]

Prosegue lo Zecca dopo aver snocciolato alcune misure dall’ambiente rinvenuto:

“Il musaico pavimentale, a tesselli bianchi e neri, fissati sopra un mastice calcareo, con sottostrato di massicciata ben poco tenace. Presenta questo musaico tre larghe zone perfettamente nere; una riquadratura a fondo bianco, con due cornici a fregi curvilinei la prima e rettilinei la seconda, di forme triangolari variamente disposte: forme ripetute in bizzarre guise nello spazio che rimane, dove convergono obliquamente nel centro, ch e è la parte più maltrattata del musaico. I tesselli sono di pietra calcarea nostrale, a figura cubica, di varie dimensioni; e l’esecuzione in generale mostrasi molto accurata”.

E ancora:

“Le pareti dipinte a fresco, presentano uno zoccolo nero, con l’orlo merlato, sul quale ricorrono due lineette bianche orizzontali; una fascia gialla, di presso che 20 centimetri, sormontata da un filetto bianco a mò di cornice, e tutta la parte superiore colorata di un purpureo, così tenace e levigato, malgrado le ingiurie del tempo, che ha potuto indurre qualcuno  a supporlo condotto con processo ad encausto: concetto che per altro è respinta dagli esperimenti che si è avuto cura di praticare”.

Ebbene, questo sarà quello che attende le preparate colleghe nella prossima tranche dei lavori. La cittadinanza insorge, metaforicamente, considerata la capacità della maggior parte dei cittadini di far la voce grossa solo dietro una tastiera (chi scrive ricorda che ben altre oscenità sono state perpetuate a carico della “decantata” storia cittadina e la cittadinanza è rimasta sempre muta… Mi riferisco agli scempi dei palazzinari degli anni ’60 che hanno occultato interi quartieri romani o manufatti di concreto interesse storico!) ma la cronica mancanza di fondi non permette, per ora, secondo il sottoscritto, approfondire gli scavi della sezione della piazza indagata.

Purtroppo il mecenatismo azero che ha consentito di portare alla luce, in un brillante scavo di archeologia urbana, tra il 2016 e il 2020, a Roma, un ampio tratto della celebre Via Alessandrina, occultata durante il funesto ventennio fascista per far posto a Via dei Fori Imperiali, e un nuova porzione della piazza del Foro di Traiano oltre ai resti delle abitazioni del quartiere medievale, non sfiora lontanamente nemmeno l’antica Teate Marrucinorum: questa forma di finanziamento potrebbe essere uno degli espedienti attuali per contribuire a riscoprire la città. Dunque, alle maleducate e inutili urlate richieste agli enti, Soprintendenza e Comune in primis, una vera e propria opera di fundraising o crowdfundig, anche tra i cittadini, contribuirebbe a smuovere veramente le acque!

Per concludere, chi scrive desidera sottoporre ai lettori del blog le sensate e lucide considerazioni scritte, sulla sua pagina facebook, dalla funzionaria archeologica della città di Chieti, Rosanna Tuteri, che riepilogano molto efficacemente lo stato delle cose, da leggere attentamente prima di sparlare in modo inutile e improduttivo:

“Una finestra si è aperta sul passato di Chieti: in piazza San Giustino vengono indagate le stratificazioni urbane nel sottosuolo.

In occasione del primo lotto dei lavori di “riqualificazione architettonica di piazza San Giustino”, avviati dall’Amministrazione Comunale il 9 settembre scorso, è stato necessario impostare un intervento di archeologia preventiva per verificare la possibilità di costruire i tunnel per i sottoservizi e le altre strutture previste nel progetto.

Per questa prima fase conoscitiva, la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle province di Chieti e Pescara è doverosamente intervenuta da ottobre in collaborazione con l’Amministrazione Comunale. […]

Naturalmente, tale indagine archeologica preventiva deve portare alla realizzazione del progetto iniziale, pur con eventuali aggiustamenti opportunamente valutati ed effettuati in accordo tra l’Ente di tutela e l’Ente che realizza il progetto. In un ambito quale il centro storico di Chieti, questo intervento preventivo ai lavori si connota anche come indagine di “archeologia urbana”, che ha sue specifiche caratteristiche: il ricorso al metodo stratigrafico e una visione diacronica dello sviluppo urbano che non privilegia una particolare fase della storia locale, ma soprattutto concorre a conoscere e preservare il carattere storico della città, per come si è evoluto e trasformato nel tempo fino ai nostri giorni.

Nel primo lotto dei lavori su metà piazza, questa indagine preliminare alla realizzazione del progetto, preceduta da prospezioni geologiche non invasive (Fabio Colantonio), si è finora per necessità fermata alle fasi medievali presenti nel sottosuolo di piazza San Giustino che presentano murature realizzate con materiali di reimpiego (lapidei e laterizi) come base di elevati costruiti in materiali deperibili (argilla concotta con impronte di incannucciata) riferibili, nella zona orientale dell’area finora indagata, ad un uso abitativo o artigianale; nell’assetto generale già fortemente intaccato dai precedenti sottoservizi moderni che hanno liberamente tranciato le strutture preesistenti, sono stati riconosciuti ed individuati gli indizi di una più antica sistemazione urbana, di età romana repubblicana e imperiale (per la presenza di frammenti ceramici a vernice nera e in sigillata italica), non ancora riferibili a strutture monumentali definite.

Considerando le enormi e pesanti trasformazioni subite nel tempo da questa zona del colle teatino già interessata da terrazzamenti, i livelli della Teate Marrucinorum potrebbero trovarsi a quote più profonde rispetto ai piani attualmente evidenziati, tanto che per raggiungerli correttamente occorrerebbero mesi di scavo.

Del resto, l’indagine archeologica distrugge ciò che indaga: per raggiungere i contesti della fase romana della città occorrerebbe smontare i muri e le strutture di epoca moderna e medievale. Il metodo archeologico ripara a questa distruzione con la documentazione fotografica, grafica, filmata (da Nicola Genovesi) e computerizzata. Tutti gli elementi rinvenuti, come gli strati di terra, le strutture murarie e pavimentali, i reperti, vengono identificati, studiati, compresi, interpretati e trasformati in dati storici nelle schede e negli elaborati della documentazione scientifica che concorre alla ricostruzione e alla narrazione della storia urbana anche attraverso lo studio della ceramica e l’analisi delle malte, che contribuiscono ad ancorare la datazione relativa (prima/dopo) delle strutture ad una datazione assoluta (quando).

Nulla viene cancellato per sempre e, anzi, il racconto di quanto si è compreso entra nella circolazione delle idee che è il vero valore culturale, la reale ricchezza che deve far posto al feticcio del muretto, del coccio, pur considerati come monumenti irripetibili di storia.

Ciò che finora è stato liberato dagli strati di terra rivela il grande intervento di demolizione che ha preceduto la prima sistemazione della piazza: tutte le strutture murarie preesistenti risultano rasate ad una stessa quota e gli strati di costipazione sono formati da materiale di risulta (pietre, elementi fittili e ceramici) ridotti a simile pezzatura per un migliore livellamento dell’area ed una migliore tenuta del piano soprastante.

Le murature esistenti nel sottosuolo appartengono a varie fasi della città: dalle poderose mura in opera laterizia di epoca post-classica poste di fronte all’attuale Palazzo di Giustizia si passa alle murature di epoca altomedievale e medievale spesso realizzate con elementi di spoglio di epoca romana (frammenti di colonne e semicolonne scanalate, cubilia, soglie e mattoni) sovrapposte alla rasatura di murature più antiche. Nell’area più vicina alla cattedrale, invece, le murature sembrano essere pertinenti a cisterne interrate relative alle strutture più recenti, come il Palazzo delle Carceri.

Proprio in questa zona, la presenza di un lacerto di pavimento realizzato in piccoli mattoni posti a spina di pesce aveva indotto l’ipotesi della presenza di una struttura di età romana intercettata dalla costruzione del deposito idrico. La notevole profondità del piano di posa non ancora raggiunto dei muri più recenti e la posizione del frammento pavimentale hanno però portato al riconoscimento della pertinenza dei due elementi alla stessa costruzione, franata nella sua parte alta.

A ridosso di questa struttura, una intercapedine è stata riempita con materiale di spoglio anche di età romana recuperato dalle vicinanze: appartiene a questo contesto la straordinaria, finissima testina femminile in marmo raffigurante Venere, con capelli ondulati e trattenuti da una tenia (fascia) sul capo in modo simile all’acconciatura dell’Afrodite accovacciata di Doidalsas (un originale greco in bronzo di metà III secolo a.C.). La piccola scultura rientra nella tradizione delle riproduzioni in scala minore di sculture ellenistiche, ripresa anche in epoca giulio-claudia, quando Teate vive la sua massima floridezza.

Nel corso delle indagini archeologiche, coordinate dalla Soprintendente Rosaria Mencarelli e dall’archeologa Rosanna Tuteri con l’assistenza di Sabatino Letta, sono state dunque condotte in sei aree le analisi stratigrafiche generali e di dettaglio (Maria Di Iorio, Paola Riccitelli), i rilievi diretti che presuppongono una capacità di analisi interpretativa e restitutiva al tratto (Paolo Fraticelli), il rilevamento fotogrammetrico (Soc. coop. a r. l. KIMERA) che trova la sua prima applicazione a Chieti e permette di ottenere modelli tridimensionali in movimento e ortofoto per una documentazione georeferenziata nel sistema di riferimento geodetico della Regione Abruzzo; non vengono trascurate le analisi petrografiche (Silvano Agostini), quelle paleobotaniche e quelle propedeutiche al restauro (Isabella Pierigè).

L’intervento archeologico si pone quindi come imprescindibile fonte di acquisizione dei dati materiali per la ricostruzione della storia urbana, ma non può essere sempre visto come fonte di recupero di monumenti da lasciare a vista nel luogo di ritrovamento: il paesaggio rivelato dagli scavi nella Piazza Grande dei Teatini è un paesaggio mai esistito nella sua interezza, nell’aspetto che lo scavo ci restituisce oggi, in quanto al nostro sguardo si mostrano elementi di varia cronologia, appartenenti a città succedutesi nel tempo e mai vissute contemporaneamente.

Abbiamo la fortuna di raccogliere, livellati dall’asportazione degli strati di terra, muri e strutture di epoche diverse, la cui comprensione è però difficilissima a prima vista. Difficilissima ne è anche la conservazione all’aperto: muretti e strutture fatiscenti, pareti di terra inconsistenti hanno bisogno continuamente di consolidamento e manutenzione per poter essere “ammirati” da lontano, perché la loro fruizione diretta sarebbe impossibile a causa della diversità delle quote e dalla non calpestabilità dei resti. La loro copertura con elementi trasparenti non è generalmente più presa in considerazione per gli enormi problemi di realizzazione e di gestione.

Chieti, dai tempi di Teate, ha impiegato circa duemila anni per trasformare Colle Gallo in una Piazza e non sembra opportuno cancellare questo processo per la realizzazione di un’area archeologica difficilmente comprensibile e fruibile. Se tutto può essere messo in discussione poiché non sappiamo ancora cosa ci riservi il secondo lotto dei lavori nell’altra metà della piazza, non è discutibile però la massa dei dati storici, stratigrafici, urbanistici, topografici e paleoambientali che stiamo recuperando e che devono diventare patrimonio culturale della Città e dei suoi Cittadini.

Limitarsi del resto a controllare che i nuovi lavori non danneggino le preesistenze, senza approfondirne le indagini per individuarne tipologia e cronologia, sarebbe conseguenza di una visione asfittica della tutela, non vivificata dalla ricerca che porta conoscenza e condivisione.

Se una finestra si apre sul passato, attraverso questa possiamo scorgere paesaggi inediti da raccontare: il carattere pluristratificato della città e della piazza deve essere un valore aggiunto che va restituito e comunicato in una sede opportuna (un locale, o un’installazione), un luogo destinato a raccontare e a presentare quanto rinvenuto con immagini, con rilievi e con gli stessi reperti.

Ma non possiamo sostituire con dati materiali frammentari e apparentemente incoerenti l’essenza di una Piazza che, finalmente consapevole del suo passato, tornerà ad essere luogo di incontro e di eventi in una città che l’ha voluta per secoli.”

“Ai posteri, l’ardua sentenza”, scrisse Manzoni nella celebre ode Il cinque maggio, la ripropongo perché chi vi scrive ritiene che possiamo essere giudici della nostra storia, possiamo esserne i protagonisti ma, di questi tempi, per affrontare seri progetti di archeologia urbana, sono necessari i denari ..

 

Daniele Mancini

Fotogrammi tratti dal filmato delle Soprintendenza

 

 

 

 

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