venerdì, 19 Aprile 2024
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SANTA MARIA ANTIQUA, FORO ROMANO, ROMA

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Gli studi della mia carriera universitaria mi hanno portato a incrociare uno splendido monumento che ho anche avuto la possibilità di visitare durante il recente periodo di restauro prima della definitiva riapertura: la chiesa di Santa Maria Antiqua, nel Foro romano, a Roma.

Scoperta nel 1900 alle pendici del Palatino grazie ai lavori dell’archeologo Giacomo Boni, dopo l’abbattimento della seicentesca Santa Maria Liberatrice, la chiesa conserva sulle pareti un patrimonio di pitture unico nel mondo cristiano del primo millennio, databile dal VI al IX secolo, per poi essere abbandonata a seguito dei crolli del terremoto dell’847.

La chiese è un’eccezionale testimonianza dello sviluppo della pittura romana e di tutto il mondo greco bizantino altomedioevale: l’iconoclastia, purtroppo, cancellò gran parte delle immagini sacre di quell’epoca, lascando immutato, grazie ai suoi dipinti, un ruolo centrale nella cristianizzazione del Foro Romano post-classico e nel rapporto di Roma con Bisanzio e la sua cultura, in un’area strategica dove si andavano concentrando la vita religiosa e i servizi di approvvigionamento per cittadini e pellegrini nella Roma del periodo.

La fase decorativa si è sviluppata in vari momenti e sovrapposizioni, testimoniate dalla parete definita “palinsesto”, pietra miliare nella storia della pittura medievale.

Si tratta di un ampio lacerto in prossimità dell’abside, in cui sono identificabili sei strati di pittura: dal IV-V all’VIIIsecolo d. C. Del momento pagano si riconosce un intonaco dipinto, mentre al periodo della fondazione della chiesa risale l’immagine della Maria Regina, una Madonna in trono con il Bambino adorata da un angelo, sino ad arrivare a un frammento con la testa di un padre della Chiesa.

Particolarmente ben conservato anche il ciclo dedicato al martirio dei santi Quirico e Giulitta, che decora quasi integralmente la cappella di Teodoto, risalente al pontificato di papa Zaccaria (741-752).

La complessa stratificazione pittorica è resa più leggibile attraverso la tecnologia digitale resa disponibile dopo l’ultimo intervento di restauro: il video mapping, usato per la prima volta nel Foro Romano, restituisce in maniera precipua le parti mancanti degli apparati decorativi delle due cappelle ai lati del presbiterio, mentre l’innovativo light mapping isola i diversi strati del “palinsesto”; la narrazione della storia dell’edificio e delle sue pitture è affidata a coinvolgenti apparati multimediali.

La chiesa di Santa Maria Antiqua si installò negli ambienti che costituiscono l’ampliamento della domus tiberiana verso il Foro, ambienti realizzati da Caligola e, successivamente, rifatti da Domiziano. Per la loro posizione strategica, essi rivestirono sempre un ruolo importante di collegamento tra il Foro e il soprastante Palazzo imperiale. Gli autori antichi forniscono notizie fondamentali per l’identificazione dei monumenti sui quali fu edificata Santa Maria Antiqua.

Caligola fece edificare e dedicare nella zona il tempio in onore del divo Augusto e i testi precisano che dietro al tempio di Augusto, di solito identificato nella grande Aula occidentale, c’era la biblioteca, da situare verosimilmente negli spazi dell’attuale atrio della chiesa. Delle costruzioni di Caligola, distrutte dagli incendi del 64 e dell’80 d.C., non resta quasi nulla, tranne una grande vasca rettangolare rivestita di marmo nell’ambiente dell’Atrio, scavata da Giacomo Boni agli inizi del 1900.

Gli scavi di Boni evidenziarono che tutta l’area era piena di sepolture di epoca tarda: tombe povere, ad eccezione di quelle relative ai sarcofagi, tutti riutilizzati e trasportati qui da altri luoghi.

Domiziano riconfigurò completamente l’area occupata dalla domus di Caligola, cambiandone l’orientamento e costruì il complesso le cu istrutture, conservatesi per grande altezza, si impongono ancora oggi alla vista di quanti transitano per il Foro. Il complesso domizianeo era costituito da quattro vani comunicanti: 1) la grande Aula occidentale, uno degli ambienti più vasti dell’architettura flavia, chiusa su due lati da un portico, dalle pareti animate da nicchie, forse per ospitare delle statue. La sua identificazione come tempio del divo Augusto resta ancora assai discussa; 2) l’ambiente più piccolo a est, dalle alte pareti scandite da nicchie, che oggi funge da atrio di Santa Maria Antiqua, dove in età domizianea forse si trovava la biblioteca ad Minervam ricostruita da Domiziano e dove, sulle pareti, erano esposti, secondo le fonti letterarie, i diplomi militari; 3) il quadriportico voltato a cui si accedeva dall’attuale atrio, organizzato intorno ad un cortile con impluvio; 4) i tre vani a sud del quadriportico. con ampi resti di una decorazione pittorica costituita da riquadrature rosse e da tondi, databile in età adrianea o di poco successiva.

Tutto il complesso è, poi, chiuso ad oriente da una Rampa, che conduceva al sovrastante palazzo imperiale. Gli ambienti domizianei subirono vari restauri nel corso dei secoli, in particolare sotto Antonino Pio. Essi, tuttavia, rimasero in funzione fino ad epoca tarda, quando furono trasformati nel complesso di Santa Maria Antiqua.

L’aula orientale del complesso domizianeo, dal VI al IX secolo, svolse la funzione di atrio di Santa Maria Antiqua e continuò ad essere utilizzata per altri due secoli anche dopo l’abbandono della chiesa a causa del terremoto dell’847.

Le pitture conservate sulle pareti, in prevalenza a carattere votivo, attestano la lunga frequentazione dell’aula. Tra X e XI secolo vi si insediò una comunità di monaci latini che la trasformò, probabilmente, nella chiesa di Sant’Antonio. Alla vita di sant’Antonio è dedicato un ciclo di pitture nella nicchia centrale della parete orientale (X secolo). Sulla stessa parete, a partire dal lato nord, si conservano immagini di personaggi sacri di fatture e periodi differenti: dalla Vergine in piedi con il Bambino in braccio (VIII secolo), a figure di santi (IX secolo) e Cristo fra i santi medici Abbaciro e Giovanni (X secolo). Sulla parete nord sono dipinti tre santi in abito militare (prima metà del IX secolo), le sante Agnese e Cecilia (prima metà del IX secolo).

Frammenti di arredo liturgico e architettonico della chiesa di Santa Maria Antiqua, invece, sono ancora visibili: dall’arco di ciborio (metà VIII secolo) a un pluteo con maglie annodate e motivi zoomorfi (IX secolo) ad altri elementi di VIII-IX secolo.

Gli scavi compiuti da Giacomo Boni hanno riportato alla luce una vasta zona cimiteriale in uso tra l’VIII e il IX secolo. Durante questo periodo, l’atrio e gran parte della superficie sottostante il pavimento della chiesa erano occupati da numerose sepolture. Per alcune di queste, forse di esponenti che ricoprivano alte cariche del clero e della società civile dell’epoca, vennero reimpiegati sarcofagi marmorei antichi, trasferiti qui da altri contesti. Decorati con soggetti profani e databili tra la metà del II e il III secolo d.C., il loro consapevole riuso testimonia la volontà dei defunti di qualificarsi come appartenenti ad una élite di classe e, pertanto, importanti da essere inumati nella chiesa.

Tra i vari sarcofagi, uno riporta una decorazione a rilievo con le figure di un sapiente e di una orante, il battesimo di Gesù nel Giordano e storie del profeta Giona. Databile alla seconda metà del III secolo d.C. e realizzato da un’officina di marmorari romani, il sarcofago è di eccezionale importanza, poiché ritenuto uno dei primi ad accogliere scene bibliche e quindi esplicitamente cristiano!

Il 24 maggio del 1702, il capomastro Andrea Bianchi, che aveva affittato un appezzamento di terra nell’orto retrostante Santa Maria Liberatrice, nel Foro romano, per cavarne mattoni, scopre fortuitamente il presbiterio di una chiesa. Il ritrovamento mette in luce le pitture dell’abside e delle pareti laterali. Accertata l’impossibilità di provvedere ai restauri, il presbiterio fu nuovamente interrato, ma non prima che Francesco Valesio ne registrasse in un acquerello, con sintetica esattezza, le pitture.

Dopo due secoli, dunque, Giacomo Boni, l’8 gennaio del 1900 inizia a demolire la chiesa di Santa Maria Liberatrice, sotto la quale scopre i resti dell’Oratorio dei Quaranta Martiri. Il 22 marzo dello stesso anno, nel giardino retrostante, appare la parete absidale con l’Adorazione della Croce. Il 5 agosto scopre la“parete palinsesto”. La chiesa, nuovamente scoperta, ha un nome: Santa Maria Antiqua!

Daniele Mancini

Per ulteriori info:

AA.VV., Santa Maria Antiqua tra Roma e Bisanzio, a cura di M. Andaloro, G. Bordi, G. Morganti, Milano 2016

Roma

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