giovedì, 10 Ottobre 2024
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RINVENUTA A RAHAT, ISRAELE, ANTICA MOSCHEA DI VII SECOLO

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A poco più di un anno dallo scavo della Mosche di Tiberiade e tre anni dopo aver trovato una delle prime moschee rurali del mondo nel sud di Israele, gli archeologi dell’Israel Antiquities Authority ne hanno trovata una seconda nello stesso centro urbano di Rahat, durante gli scavi archeologici di salvaguardia della città beduina, nel nord del Negev.

Il complesso bizantino di Rahat
Il complesso bizantino di Rahat

Gli scavi sono diretti da Oren Shmueli, da Elena Kogan-Zehavi e da Noe David Michael per conto dell’IAA.

Le due moschee hanno entrambe circa 1.200 anni e quella appena scoperta è stata costruita a poche centinaia di metri dalle rovine di un palazzo che sembra sia appartenuto a ricchi cristiani bizantini.

La moschea appena ritrovata ha una struttura classica, comprendente un ambiente quadrato e un muro rivolto verso la direzione “sacra” della Kaaba, nella città santa de La Mecca. La struttura contiene anche una nicchia a forma di semicerchio, chiamata mihrab, situata lungo il centro del muro e rivolta anche verso La Mecca.

Se nell’edificio rinvenuto nel 2019 veramente scarsi sono i manufatti rinvenuti, rendendo difficile la datazione del monumento, nel secondo edificio di recente scoperta, grazie alla precedente presenza cristiana già individuata in parte, è stato più semplice datare la mosche ai primi periodi dell’Islam, in pieno VII secolo: gli archeologi non escludono che gli edifici sacri operassero contemporaneamente.

L’antico insediamento agricolo di Rahat operò nel tardo periodo bizantino e all’inizio del periodo islamico. Non è noto se gli abitanti fossero nomadi islamici arrivati ​​dal deserto e si stabilirono in quel sito o se fossero convertiti dal cristianesimo,  come ritiene Kogan-Zehavi.

In ogni caso,  l’antica Rahat era anche un immenso territorio agricolo e le moschee non erano centrali nel centro urbano: situati a pochi chilometri l’una dall’altra, ciascuna avrebbe potuto servire la propria comunità locale, chiamando alla preghiera i fedeli nelle fattorie adiacenti ed essere definite, dunque, moschee rurali.

Presso le montagne desertiche di Har Hanegev, gli archeologi hanno trovato le prime moschee costruite in territori aperti, non associate direttamente agli insediamenti urbani. Potrebbero essere state anche degli ambienti all’aperto, senza tetto di copertura.

Kogan-Zehavi ritiene che nelle aree urbane si trovino moschee più antiche moschee e l’entroterra costituiva una sorta di sogno per gli individui che vi si trasferivano per coltivare i territori circostanti.

Lo straordinario edificio bizantino, sul quale era stata edificata la seconda moschea di Rahat, segnalato per la prima volta nel 2020, potrebbe essere identificato come una sorta di piccolo palazzo. Con una superficie di circa 30×30 metri, ha conservato notevoli pareti affrescate, mai rinvenute prima nelle domus della regione.

Il palazzotto era composta da ambienti con pavimentazione in pietra, alcune pavimentate con marmo d’importazione, pareti intonacate ed una capillare suddivisione in sezioni. Sono stati rinvenuti resti di pregevoli stoviglie e preziosa cristalleria, anch’essi indicativi di una certa ricchezza.

Questa struttura non era una cittadella fortificata costruita per respingere gli invasori dal deserto, sebbene potesse avere un piccolo corpo di guardia, plausibilmente adoperato solo per scoraggiare piccole ladronerie. Ben due pozzi erano stati scavati a beneficio del palazzo.

Dallo scavo, sono stati individuati ambienti grandi ed elaborati che avrebbero potuto servire ad ospitare numerosi ospiti. La sezione orientale comprendeva anche un ampio salone a conferma della grande agiatezza dei proprietari.

Il team di archeologi ha rinvenuto anche due manufatti adibiti alla cottura, uno dei quali era troppo grande per essere utilizzato solo per le arti culinarie. La presenza di una enorme cisterna, ha indotto gli archeologi a ritenere che in quella tenuta bizantina si producesse sapone che, oltre all’agricoltura, avrebbe prodotto una notevole ricchezza economica.

Secondo Kogan-Zehavi, il sapone a base di olio d’oliva è una delle industrie che l’Islam ha portato alla civiltà occidentale e proprio il territorio israeliano, secondo gli storici islamici, è una delle aree in cui il sapone è stato prodotto ed esportato in tutto il mondo islamico e occidentale. Sembra che la vera ricetta del sapone sarebbe stata tenuta segreta e tramandata di generazione in generazione e avrebbe reso alcune famiglie molto ricche.

Nonostante la probabile produzione di sapone, la bella villa bizantina fu abbandonata, per ragioni ancora sconosciute. Non è stata trovata alcuna prova di distruzione, violenza o ostilità e sembra sia stata abbandonata dopo che nel sito sia sorta la moschea.

Sulla cima di una collina vicina, gli archeologi hanno identificato altri edifici, costruiti con pareti in mattoni di fango e che sembrano risalire a un’epoca successiva.

In ogni caso, i siti in questa zona operarono ininterrottamente dal periodo bizantino al primo periodo islamico, per poi essere tutti abbandonati nel IX secolo, dopo circa 150-200 anni e non per cause di predoneria o guerra.

Quindi le nuove scoperte gettano un po’ più di luce ma non molta sulle relazioni tra i cristiani bizantini e i primi abitanti islamici nel Negev. Si trovano anche fattorie che hanno continuato a funzionare dal periodo bizantino a quello islamico, ma è impossibile confermare se gli occupanti si siano convertiti. Il passaggio, comunque, è stato molto pacifico…

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: IAA

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