mercoledì, 4 Dicembre 2024
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OPERAI E SCHIAVI ISRAELITI IN EGITTO

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E’ appena trascorsa la festività cristiana della Pasqua che trae origine dalla festa ebraica chiamata Pesach che celebra la liberazione degli Ebrei dall’Egitto, grazie a Mosè. Contrariamente alla credenza popolare, creata da certi stereotipi hollywoodiani, la Bibbia non afferma che durante il loro soggiorno in Egitto schiavi Israeliti siano stati coinvolti nella costruzione delle piramidi e, nonostante, permangano questioni fondamentali riguardo alla presenza ebraica in Egitto e al conseguente Esodo, è certo che le più imponenti piramidi dell’Antico Regno precedano l’Esodo biblico di un millennio o giù di li. Inoltre, da non sottovalutare, esistono fonti scritte (papiri) contemporanee che indicano come gli enormi impianti funerari siano stati costruiti da normale manodopera regolarmente stipendiata e non da schiavi stranieri!

David A. Falk, della Vancouver School of Theology, che esamina la questione degli Israeliti in Egitto e le loro attività nel suo articolo Brick by Brick sulla Biblical Archaeology Society Online Archive, esamina il racconto biblico e cerca la corrispondenza più plausibile anche nell’antica architettura egizia.

Il libro dell’Esodo narra che prima dello storico evento gli Israeliti in Egitto sono stati costretti a fabbricare mattoni di fango e costruirono “città di approvvigionamento”. In Esodo 5, 6–8, leggiamo: <<In quel giorno il faraone diede questi ordini ai sorveglianti del popolo e ai suoi scribi: «  Non darete più la paglia al popolo per fabbricare i mattoni come facevate prima. Si procureranno da sé la paglia.  Però voi dovete esigere il numero di mattoni che facevano prima, senza ridurlo. Perché sono fannulloni; per questo protestano: Vogliamo partire, dobbiamo sacrificare al nostro Dio!>>, chiarendo che il compito degli Israeliti era quello di fabbricare mattoni di fango.

Esodo 1, 11, si il faraone ordina quanto segue: <<Stabilirono dunque sopra Israele dei sorveglianti ai lavori, per opprimerlo con le loro angherie. Israele costruì al faraone le città che servivano da magazzini, Pitom e Ramses>> Queste “città di approvvigionamento o di stoccaggio” potrebbero essere identificate in Pi-Atum e Pi-Ramesse, la nuova capitale dell’Egitto costruita da Ramses II,  vicino all’antica Avaris. Entrambe le città si trovavano nel nord-est del delta del Nilo, dove vi sono abbondanti prove storiche e archeologiche della presenza di popoli di cultura semitica a partire almeno nella Seconda Età del Bronzo (circa 2000-1570 a.C.).

Falk sostiene che queste due città non possono essere  descritte come “città di stoccaggio”: la Bibbia si potrebbe riferire ad alcuni enormi edifici in mattoni di fango all’interno di queste città adoperati come magazzino. Falk suggerisce, quindi, che il termine potrebbe indicare una serie di depositi di mattoni di fango o magazzini associati ai templi. Nei templi egiziani, erano necessarie ampie capacità di stoccaggio per provvedere alle offerte quotidiane e al personale numeroso. Nel caso dei templi funerari reali, i templi di milioni di anni, era inoltre fondamentale assicurare che un tempio continuasse a funzionare anche dopo la morte del re.

L’architettura con i mattoni di fango mista a paglia, in Egitto, ha una tradizione molto lunga, che risale al periodo predinastico e continua ancora oggi. A partire dai complessi di Djoser (2700 a.C. circa), i faraoni egizi hanno costruito le loro tombe e i relativi templi in pietra, ma la maggior parte delle altre strutture hanno continuato a essere costruite con mattoni di fango essiccati al sole e materiali leggeri, come legno e foglie di canna.

È quindi molto probabile che i mattoni di fango fabbricati dagli Israeliti in Egitto fossero destinati alla costruzione di strutture o magazzini per lo stoccaggio sotto il controllo dei templi: una scena e la relativa iscrizione della Tomba di Rakhmire (TT100), vissuto sotto la XVIII dinastia, mostrano come operai e schiavi non egiziani stiano realizzando mattoni per costruire di nuovo edifici pubblici per il Tempio di Karnak.

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

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