sabato, 20 Aprile 2024
Scoperte&SitiArcheologici

NUOVE SCOPERTE DAL SITO DI CASAS GRANDE, IN MESSICO, SULL’EVOLUZIONE DELLA CULTURA PAQUIMÉ

Per leggere questo articolo occorrono 3 minuti

In un sito di scavo nel nord del Messico, un team della Brigham Young University ha recentemente scoperto manufatti che sono rimasti sepolti per oltre 1.000 anni, tra cui frammenti di ceramica, utensili in pietra, chicchi di mais e, intrigante in un luogo a 350 chilometri nell’entroterra, una perla di conchiglia dall’Oceano Pacifico .

Il sito noto come Casas Grandes, chiamato anche Paquimé, nello Stato messicano di Chihuahua, era un grande centro urbano che raggiunse il suo picco tra il 1200 e il 1400 d.C. Il sito attira archeologi da tutto il mondo per analizzare la sua miscela unica di influenze culturali, con evidenti tracce che suggeriscono interazioni culturali e commerciali tra i Paquimé e altri popoli lontani. Negli ultimi 10 anni, un team della BYU ha studiato un’epoca meno conosciuta, il periodo Viejo, che precede l’era principale di Casas Grandes.

Mike Searcy, docente di archeologia della BYU, conferma che la ricerca si occupa di portare alla luce le radici di Casas Grandes: esiste un legame tra Paquimé e il sito oggetto di scavo. Per qualche motivo, i gruppi umani tornarono, dopo un periodo di assenza, per costruire una città ancora più grande che avrebbe ospitato una maggiore popolazione in quello che diverrà il più grande centro urbano nei deserti del nord-ovest del Messico.

Nel piccolo villaggio agricolo appena a sud di Paquimé che il team ha scavato, un sito che hanno chiamato “San Diego“, sono state realizzate lunghe trincee esplorative alla ricerca di tracce di vecchie strutture o fosse di rifiuti come indizi per approfondire la ricerca. Nel 2019 è stato rinvenuto il pavimento della più grande struttura pubblica conosciuta del periodo Viejo, un edificio di 9 metri di diametro abbastanza grande da ospitare da 30 a 40 persone.

Searcy osserva che gli studi effettuati hanno evidenziato resilienza e ingegnosità dei gruppi umani che hanno vissuto nel sito di San Diego, compresi gli sforzi costruttivi organizzati per edificare la struttura pubblica.

Scott Ure, docente della BYU, conferma che l’edificio pubblico, scavato già da diversi anni, conteneva enormi pali da oltre 60 centimetri di diametro realizzati su tronchi di pino che, probabilmente, provenivano dalle montagne vicine, lasciando poco spazio alla fantasia su come abbiano potuto abbatterli e trasportarli fino al villaggio, evidenziando coesione sociale per un bene comune più elevato!

Tali dettagli possono essere un chiaro esempio di come i gruppi umani abbiano tentato di prosperare durante climi ostili del tempo e l’archeologia, in questo caso, ha l”obiettivo di rendere comprensibile quello che potrebbe sembrare misterioso e sconosciuto, generando un immenso rispetto per i gruppi umani che hanno lottato per sopravvivere.

Il team ha utilizzato una tecnologia avanzata per documentare le proprie scoperte, inclusi strumenti di rilevamento robotico che mappano i manufatti con precisione millimetrica, GPS di rilevamento e sistemi aerei senza equipaggio che acquisiscono immagini del sito dal cielo. La gestione di questa tecnologia è una parte importante dell’acquisizione moderna dei dati per la conoscenza di qualsiasi sito oggetto di studio.

La collaborazione con altri team di archeologia della Scuola Nazionale di Antropologia e Storia nel nord del Messico, oltre a essere una fucina di esperienze sul campo per i partecipanti, secondo Searcy  aggiunge anche profondità alla formazione di nuovi professionisti e vecchi ricercatori. Lo studio di contesti anomali è, dunque, un imprescindibile elemento di crescita culturale posto agli apici dell’apprendimento esperienziale sul campo.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Brigham Young University

Messico

Ciao! Lascia un commento o una tua considerazione. Grazie

error: Il contenuto è protetto!!