domenica, 8 Dicembre 2024
Archeologia&Dintorni

LE LEZIONI DELLA STORIA SUL BUON E SUL CATTIVO GOVERNO: STUDIO ANTROPOLOGICO

Per leggere questo articolo occorrono 6 minuti

La Storia insegna che tutte le vicende sociali hanno un inizio e una fine, sia che le società siano governate da dittatori spietati o da rappresentanti ben più intenzionati, cadono a pezzi nel tempo, con diversi gradi di gravità.

In un nuovo studio, un team di antropologi ha esaminato un ampio campione globale di 30 società pre-moderne scoprendo che i “buoni” governi, quelli che fornivano beni e servizi per i propri cittadini e non concentravano completamente la ricchezza e il potere nelle loro mani, cadevano comunque a pezzi, crollavano più fragorosamente di regimi dispotici nati dopo collassi economici e sociali.

Gary Feinman, archeologo e MacArthur Curator del Mesoamerican, Central American, and East Asian Anthropology al Field Museum of Natural History di Chicago, uno degli autori del nuovo studio pubblicato sulla rivista Frontiers in Political Science, ritiene che gli stati pre-moderni non erano così diversi da quelli odierni, anche con un “buon governo” simile a quello che vediamo oggi in alcuni paesi democratici. Feinman sostiene, però, che gli stati che avevano un buon governo, sebbene potessero essere in grado di mantenersi un po’ più a lungo rispetto a quelli gestiti da autocrati, tendevano a collassare in modo più completo e più grave!

Richard Blanton, docente emerito di antropologia alla Purdue University e autore principale dello studio, ritiene che il potenziale di fallimento causato da un fattore interno, avrebbe potuto essere gestito se adeguatamente previsto: gli studiosi si riferiscono all’inesplicabile rovescio di una leadership ancora coinvolta nel sostenere i valori e le norme che avevano guidato a lungo le azioni dei leader precedenti. La conseguente e fisiologica perdita di fiducia del popolo nella governo e nel suo leader ne avrebbe decretato il collasso.

Nel loro studio, Blanton, Feinman e i loro colleghi hanno esaminato, in modo approfondito, i governi di quattro importanti entità storiche e sociali: l’Impero Romano, la dinastia cinese Ming, l’Impero Mughal dell’India e la Repubblica di Venezia. Queste avevano una distribuzione relativamente equa di potere e ricchezza, rispetto a molti degli altri casi esaminati, precedenti e successivi, sebbene sembrassero diverse da quello che oggi consideriamo un “buon governo”.

Feinman ricorda che non esistevano democrazie elettorali prima dei tempi moderni, quindi se si desidera confrontare il “buon governo” attuale con quello del passato, non è possibile misurarlo dal ruolo delle elezioni, così importanti nelle democrazie contemporanee. Per elaborare altri parametri di valutazione e le caratteristiche fondamentali del concetto di “buon governo”, nello studio sono stati utilizzati altri controlli e cercato equilibri sulla concentrazione del potere e della ricchezza da parte di pochi più individui, se gran parte della popolazione avesse i mezzi per migliorare il proprio benessere sociale, se ci fosse libertà di fornire beni e servizi, oltre pochi individui o istituzioni, se la gente comune potesse esprimere la propria opinione.

Nelle società che soddisfacevano la definizione accademica di “buon governo”, il governo esaudiva i bisogni dei gruppi di individui che “finanziavano” lo Stato grazie al pagamento di tasse ed esazioni. Questi sistemi, dunque, dipendevano fortemente dalle risorse delle locali popolazioni e, anche in mancanza di elezioni democratiche, il governo doveva essere altamente reattivo alle esigenze di questi individui che investivano le proprie risorse! Feinman sottolinea, quindi, che erano necessari controlli sia sul potere che sull’egoismo economico dei leader affinché questi non accumulassero tutta la ricchezza per il proprio personale tornaconto.

Le società con un buon governo tenderebbero a durare un po’ più a lungo rispetto ai governi autocratici che manterrebbero il potere concentrato su una persona o un piccolo gruppo. Il rovescio della medaglia è che quando un governo “buono” crolla, le cose subiscono pieghe differenti fino ad essere più difficili per i cittadini che contavano sulle infrastrutture statali create da quel governo per la loro vita quotidiana: crisi della gestione della comunicazione e della burocrazia per riscuotere le tasse, per sostenere i servizi e distribuire beni pubblici.

Con il crollo di un regime autocratico, che ha portato diversi leader dispotici o anche diverse capitali, la crisi non permea fino in fondo la vita delle persone perché tali governanti, generalmente, hanno monopolizzato le risorse e finanziato i loro regimi in modi meno dipendenti dalle ricchezze locali ma grazie a tassazioni su vasta scala.

I ricercatori hanno anche esaminato un fattore comune nel crollo delle società con un buon governo: i leader che hanno abbandonato i principi fondanti della società e hanno ignorato i loro ruoli di guide morali per il loro popolo. Feinman ritiene che, in una società di buon governo, un leader morale è colui che sostiene i principi fondamentali, l’etica, le credenze e i valori della società in generale. La maggior parte delle società ha una sorta di contratto sociale, che sia scritto o meno, e se un leader ha infranto questi principi, il popolo ne perde la fiducia, diminuisce la propria disponibilità nel pagare le tasse, si allontana o intraprende altre misure che minano la salute fiscale e politica di quel gruppo dirigente.

Il modello di leader amorali che destabilizzano le loro società è tipico delle società più antiche: ne è un esempio, preso a modello dello studio, l’Impero Romano. L’imperatore romano Commodo, per esempio, ereditò uno stato con instabilità economica e militare, continuando comunque a non essere all’altezza del compito rivestito: era più interessato a esibirsi come gladiatore e identificarsi con Ercole. Alla fine, dopo l’ennesimo attentato, fu assassinato e l’impero cadde in un ulteriore periodo di crisi e corruzione.

Questi modelli possono essere paragonati a esempi moderni in cui leader corrotti o inetti minacciano i principi fondamentali di uno Stato ma anche la stabilità delle entità che governano. La crescente disuguaglianza sociale, la concentrazione del potere politico, l’evasione delle tasse, lo svuotamento delle istituzioni burocratiche, la diminuzione delle infrastrutture statali e il declino dei servizi pubblici sono tutti evidenti anche in molte delle nazioni democratiche di oggi.

Per Blanton, i risultati ottenuti forniscono intuizioni che potrebbero essere utili nel presente, anche nelle società ben governate, prospere e molto apprezzate dalla maggior parte dei cittadini, in cui fragili costrutti umani potrebbero fallire.

I ricercatori ritengono, dunque, che nei casi affrontati, le calamità sociali ed economiche avrebbe potuto, molto probabilmente, essere evitate nonostante popolo e governanti presumevano, ottimisticamente, di governare a beneficio della società. La scarsa capacità di anticipare le problematiche attraverso salvagenti istituzionali per ridurre al minimo le conseguenze del fallimento morale, sociale ed economico, ha condotto alle cadute che conosciamo.

Conoscere, dunque, cosa abbia portato al collasso delle società in passato potrà aiutarci a fare scelte migliori ora. È retorico, è vero, ma è bene ripeterlo per quelli di scarso comprendonio… La storia ha la possibilità di dirci qualcosa anche se non significa che si ripeterà esattamente, ma è importante conoscerne l26e sfaccettature e le lezioni che ha impartito.

 

Traduzione, rielaborazione e considerazioni di Daniele Mancini

Per ulteriori info: Field Museum

STORIA

2 pensieri riguardo “LE LEZIONI DELLA STORIA SUL BUON E SUL CATTIVO GOVERNO: STUDIO ANTROPOLOGICO

  • Fiorella Brocchieri

    non si riesce a condividere, è scomparso il simbolo di facebook, peccato, era molto seguito!

    Rispondi
    • Daniele Mancini

      Salve Fiorella, mi appare regolarmente. Ho anche provato con il mio account o chiesto a conoscenti. Ritenta

      Rispondi

Ciao! Lascia un commento o una tua considerazione. Grazie

error: Il contenuto è protetto!!