giovedì, 28 Marzo 2024
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INQUINAMENTO DA PIOMBO NEL GHIACCIO ARTICO DEGLI ULTIMI 1500 ANNI

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I processi commerciali e industriali hanno immesso piombo nell’atmosfera per migliaia di anni, dalle miniere alla fusione di minerali d’argento per coniare la valuta dell’antica Roma, all’utilizzo dei combustibili fossili odierni. Questo inquinamento da piombo viaggia con le correnti aeree e con il vento, attraverso l’atmosfera per poi stabilirsi in luoghi come la calotta glaciale in Groenlandia e in altre luoghi dell’Artico.

A causa del legame del piombo con i metalli preziosi, come l’argento, e il fatto che i livelli di piombo naturale nell’ambiente sono molto bassi, gli scienziati hanno scoperto che i depositi di piombo accumulati negli strati di ghiaccio artico sono un indicatore sensibile dell’attività economica generale nel corso della storia.

In un nuovo studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences, i ricercatori del Desert Research Institute (DRI), dell’Università di Oxford, della Norwegian Institute for Air Research, dell’Università di Copenhagen, dell’Università di Rochester e dell’Alfred Wegener Institute for Polar and Marine Research, hanno utilizzato tredici carotaggi di ghiaccio artico della Groenlandia e dell’Artico russo per misurare, datare e analizzare le emissioni di piombo catturate nel ghiaccio tra il 500 al 2010 d.C., un periodo che si estende Tardo antico al presente.

Questo lavoro si basa su uno studio già pubblicato da alcuni degli stessi ricercatori nel 2018, che mostrava come l’inquinamento da piombo, in un unico carotaggio di ghiaccio della Groenlandia, seguisse gli alti e bassi dell’economia europea tra il 1100 a.C. e l’800 d.C., tra l’Età del Bronzo e l’Impero bizantino.

Joe McConnell, direttore del DRI’s Ultra-Trace Ice Core Chemistry Laboratory a Reno, Nevada spiega che hanno esteso il loro precedente studio anche oltre il Medioevo fino a oggi utilizzando i tredici carotaggi di ghiaccio prelevati, dimostrando che, prima della Rivoluzione Industriale, l’inquinamento da piombo era pervasivo e sorprendentemente simile in un’ampia area dell’Artico, risultato delle emissioni europee.

Il team di ricerca internazionale, la cui cooperazione è stata fondamentale, ha scoperto che l’aumento della concentrazione di piombo nelle carote di ghiaccio segue da vicino i periodi di espansione in Europa, grazie all’avvento delle nuove tecnologie e alla conseguente prosperità economica. Le diminuzioni della presenza del piombo, d’altra parte, si accompagnavano a disastri climatici, guerre, pestilenze e carestie.

McConnell ha notato che gli aumenti dell’inquinamento da piombo, tra il IX e il XIV secolo d.C., ad esempio, indicano una crescita economica diffusa, in particolare nell’Europa centrale, quando nuove aree minerarie sono state scoperte in luoghi come i monti Harz ed Erzgebirge, nella Germania centro settentrionale. L’inquinamento da piombo, dai carotaggi, sembra diminuisca dopo il XIV secolo, fino alla fine del XVII secolo, quando le pestilenze hanno devastato l’Europa, indicando come l’attività economica si sia arrestata.

Nonostante eventi come le epidemie, lo studio dimostra che gli aumenti dell’inquinamento da piombo, nel ghiaccio artico, siano esponenzialmente aumentati durante gli ultimi 1500 anni, con i livelli di piombo rilevati di circa 60 volte più alti oggi di quanto lo fossero all’inizio del Medioevo.

Questo studio ha analizzato i carotaggi nel ghiaccio sfruttando una modellistica atmosferica all’avanguardia per determinare la sensibilità dei vari siti nell’Artico: secondo lo scienziato Andreas Stohl, del NILU, la modellizzazione utilizzata dimostra che il nucleo dell’Artico russo è più sensibile alle emissioni europee, in particolare dalle regioni orientali dell’Europa, rispetto ai nuclei della Groenlandia, rilevando livelli costantemente più elevati di inquinamento da piombo nel nucleo artico russo con aumenti più rapidi durante i periodi sopra indicati, mentre le operazioni di estrazione si spostavano da nord a est, dalla penisola iberica alla Gran Bretagna e alla Germania.

Secondo Andrew Wilson, docente di archeologia all’Università di Oxford, i risultati della ricerca sono interessanti non solo per gli scienziati ambientali che vogliono capire come l’attività umana abbia alterato l’ambiente, ma aiutano anche gli storici a comprendere e quantificare il modo in cui le società e le loro economie hanno risposto a forze esterne come i cambiamenti climatici, le pestilenze o i disordini politici.

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Desert Research Institute 

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