INDIVIDUATI I COMPONENTI DEL PIGMENTO BLU MAYA
Una scrupolosa indagine ha svelato l’antico metodo per ottenere lo straordinario pigmento noto come Blu Maya, diverso da un metodo precedente scoperto quasi 20 anni fa dallo stesso ricercatore.
Il Blu Maya, scoperto dai ricercatori moderni nel 1931, non è un pigmento facile da realizzare. Richiamando il colore di un cielo azzurro, questo pigmento indelebile veniva utilizzato per accentuare qualsiasi cosa, dalle ceramiche ai corpi dei sacrifici umani, soprattutto a partire dal Tardo periodo preclassico (300 a.C. – 300 d.C.).
Il Blu Maya è un pigmento molto insolito perché è una miscela di indaco organico e un minerale argilloso inorganico chiamato palygorskite. Il suo intenso colore blu non sbiadisce nel tempo e ha mantenuto la sua vivacità anche nelle aspre foreste tropicali del Messico meridionale e del Guatemala, dove prosperava la Civiltà Maya.
Per decenni, gli scienziati hanno cercato di decifrare il metodo preciso di produzione del Blu Maya, ma non ci sono riusciti fino al 2008: analizzando tracce del pigmento trovate in vasi depositati sul fondo di un pozzo a Chichén Itzá, nella penisola dello Yucatán, un team di ricercatori guidato da Dean Arnold, curatore aggiunto della sezione di antropologia al Field Museum di Chicago, ha stabilito che la chiave per ottenere il blu Maya era in realtà un incenso sacro chiamato copale. Arnold riteneva che riscaldando la miscela di indaco, copale e palygorskite sul fuoco, i Maya avrebbero prodotto questo pigmento unico.
Al convegno annuale della Society for American Archaeology, tenutosi recentemente a Denver, Arnold ha presentato la sua scoperta di un secondo metodo per creare il Blu Maya e la nuova ricerca è stata pubblicata nel libro di Arnold “Maya Blue ” (University Press of Colorado, 2024).
Dopo aver esaminato attentamente una dozzina di ciotole Maya rinvenute a Chichén Itzá, Arnold si rese conto che il residuo bianco presente nei vasi era probabilmente palygorskite macinata da bagnata, che avrebbe lasciato tracce nelle minuscole fratture provocate dagli strumenti di macinazione nei vasi. L’esame microscopico delle 12 ciotole rivelò, inoltre, minuscoli steli di piante bruciati, e le basi delle ciotole mostravano che erano state riscaldate dal basso.
Arnol è lieto di affermare che le analisi effettuate sulle ciotole forniscono la prova che gli antichi Maya utilizzavano questo metodo come secondo modo per creare il Blu Maya.
Il Blu Maya non era solo una bella vernice, ma fa anche parte del patrimonio culturale Maya la cui scoperta e conoscenza era riservata a specialisti come i sacerdoti. Arnold ritiene che il Blu Maya fosse particolarmente importante nei sacrifici fatti al dio maya della pioggia Chaak durante i periodi di siccità. Il risultato della miscela di indaco, paligorskite e copale nella ciotola riscaldata, secondo Arnold, potrebbe raffigurare un’incarnazione del dio della pioggia Chaak.
Le ricerche future sul pigmento blu, secondo Arnold, includeranno uno studio microscopico dei resti vegetali rinvenuti nelle varie ceramiche per verificare se sia possibile determinare il genere e la specie che hanno prodotto il colore blu.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: Academia, Maya Blue: Unlocking the Mysteries of an Ancient Pigment


