I CELTI E LE CONTAMINAZIONI NELLA STORIA DELL’ARTE ANTICA EUROPEA
Il nome Celti evoca un’immagine di tribù violente e gli autori classici tramandano quella di uno strano popolo, poco conosciuto agli abitanti “civilizzati” della Grecia e di Roma.
Lo storico greco Diodoro Siculo, scrivendo nel I secolo a.C., narra che erano inclini all’arroganza e all’eccessiva indulgenza, dipendenti dal vino e bevevano spesso così tanto da cadere in uno stato di torpore. Lo storico scrive che gli uomini avevano baffi così lunghi che quando bevevano era come se il liquido passasse attraverso “una specie di colino”. Si vestivano con camicie e pantaloni dai colori vivaci e pesanti bluse a righe o a quadri. Erano padroni di casa ospitali, accoglievano estranei alle loro feste, ma erano feroci guerrieri e pronti a offendersi e combattere alla minima provocazione. In battaglia, alcuni si gettarono nella mischia nudi, mentre altri indossavano elaborati elmi con corna o cresta animale, forse lo splendido esempio esposto al British Museum e rinvenuto durante le operazioni di dragaggio del Tamigi, vicino a Waterloo.
Eppure Diodoro osserva anche che, nonostante tutta la loro spavalderia bellicosa e la loro vanagloria, questi non erano un popolo ignorante. Scrive che parlavano per enigmi, accennando oscuramente al loro significato e usando una parola per sostituirne un’altra. Tra loro c’erano poeti e filosofi che potevano predire il futuro ed erano così rispettati da poter fermare un esercito in piena carica.
Queste descrizioni potrebbero essere molto più e anche se sono varie, sono pochissime, si basano su prove di prima mano, ma non riguardano gli usi più comuni che continuano a nascondersi dietro gli stereotipi. Le fonti su Celti variano a seconda di dove e quando vivevano le varie tribù.
Sono pochi gli oggetti della cultura materiale che mostrano come si rappresentavano i Celti, anche se lo straordinario calderone d’argento di Gundestrup conservato presso il Museo Nazionale di Danimarca, mostra individui che indossano e usano oggetti celtici mentre le monete realizzate nel mondo celtico rivelano un’iconografia complessa e variegata.
I Celti non hanno lasciato documenti scritti propri che descrivono la loro società, o se fossero davvero un popolo unificato. È molto più probabile che le loro vite ruotassero attorno a unità tribali, etniche o familiari più piccole.
Poco dopo il 500 a.C., nel periodo in cui ad Atene veniva eretto il Partenone, a nord delle Alpi stava prendendo forma un’arte molto diversa. In contrasto con le linee pulite e naturalistiche dell’arte greca, i popoli che gli scrittori greci avrebbero chiamato Celti stavano inventando il proprio modo di rappresentare il mondo. La loro era un’arte astratta, mutaforma, che si contorce e si trasforma negli occhi di chi guarda.
Da un angolo una linea sinuosa potrebbe assomigliare a viticci frondosi, da un’altra prospettiva si risolve in una bestia nascosta o in un uccello. A un attento esame, la decorazione vorticosa simile a una pianta sullo scudo circolare di Wandsworth, conservato al British Museum, diventa composta da due uccelli acquatici, che si impennano con le ali spiegate, ciascuno con un unico piede palmato che si arriccia davanti al suo becco adunco. Come il discorso enigmatico a cui allude Diodoro, le linee semplici e le forme curve dellarte celtica suggeriscono significati complessi che possono essere decodificati solo da coloro che hanno familiarità con i suoi misteri, una conoscenza ormai da tempo dimenticata.
Intorno al 300 a.C., le versioni di questo stile artistico si erano diffuse in tutta Europa, dall’Atlantico al Mar Nero. Sebbene la Gran Bretagna e l’Irlanda non siano mai state esplicitamente definite celtiche dai Greci e dai Romani, facevano parte di questo mondo di arte, valori e credenze condivisi in cui i Greci prima, e i Romani poi, vedevano un unico popolo, l’archeologia rivela un mosaico di comunità, connesse ma anche localmente distinte.
La torque, per Greci e Romani simbolo universale dell’identità celtica, in realtà non era un fenomeno esclusivamente celtico. Uomini e donne in tutta Europa e oltre indossavano torque per mostrare il loro potere e il loro status. Anche all’interno del mondo celtico, la forma, il design e la decorazione di questi collari variavano da regione a regione ed è probabile che fossero usati per esprimere identità locali. Un esempio sbalorditivo è la torque in argento proveniente da Trichtingen, in Germania, esposto al Württembergisches Landesmuseum di Stoccarda, pesa oltre 6 kg. I terminali sono realizzati a forma di testa di bovino, ognuno dei quali indossa un minuscolo collare.
A partire dal 200 a.C. circa, il controllo romano si era gradualmente ampliato fino a creare un impero che si estendeva dalla Spagna alla Siria e in tutto il Nord Africa. Dopo la conquista della Britannia nel 43 d.C., le vite degli abitanti locali furono radicalmente trasformate, sia all’interno della provincia romana della Britannia che oltre i suoi confini. Nel sud, l’esercito romano guidò la costruzione di fortezze e centri urbani con nuove strutture come anfiteatri e stabilimenti termali. La popolazione locale si mescolò con invasori e coloni provenienti da tutto l’impero, creando un mondo cosmopolita in cui gli stili di vita romani e indigeni si unirono per creare una cultura romano-britannica unica.
L’Irlanda e la Scozia settentrionale non furono mai conquistate, ma gli individui furono culturalmente colpiti dall’impatto di Roma. Le comunità si sono trovate vicine a un potente impero e hanno risposto creando oggetti che riflettessero le loro identità indipendenti e non romane. Uno di questi esempi è il massiccio bracciale di Belhelvie, conservato al National Museum of Scotland. È stato realizzato in Scozia mentre la Gran Bretagna meridionale era sotto il dominio romano ed è decorato con uno stile artistico locale distintivo che riecheggia i precedenti motivi dell’Età del Ferro britannica.
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente, una forma distintiva di Cristianesimo emerse in Irlanda, Scozia e Britannia occidentale, regioni che erano al di fuori del controllo romano. I monasteri in queste aree si sono distinti come centri europei di arte e apprendimento e, sebbene collegati a comunità cristiane più ampie in tutta Europa, hanno continuato a sviluppare le proprie tradizioni locali e le loro lingue, arte e pratiche religiose distinte.
Il nome “Celti” era caduto in disuso dopo il periodo romano, ma fu riscoperto durante il Rinascimento, quando il mondo culturale divenne più interessato a comprendere le proprie storie locali. Dal XVI secolo, “Celti” fu usato come scorciatoia per i popoli preromani dell’Europa occidentale. All’inizio del ‘700, alle lingue di Scozia, Irlanda, Galles, Cornovaglia, Bretagna e Isola di Man fu dato il nome di “celtico” per riflettere le loro origini preromane. Nel contesto di un panorama politico e religioso in continua evoluzione, “celtico” ha acquisito un nuovo significato mentre i popoli di queste regioni atlantiche cercavano di affermare la loro differenza e indipendenza dai loro vicini francesi e inglesi, attingendo a lunghe storie di identità locali distintive.
Sebbene i Celti non siano un unico popolo, una razza distinta o un gruppo genetico rintracciabile nel tempo, l’idea di un’identità celtica risuona ancora oggi con forza, tanto più perché è stata continuamente ridefinita per riecheggiare le preoccupazioni contemporanee sulla politica, potere e religione. La parola celtico è diventata sinonimo di storie, tradizioni, musica e lingue locali distintive delle moderne nazioni dei territori di Bretagna, Cornovaglia, Irlanda, Isola di Man, Scozia e Galles, e per le popolazioni di tutto il mondo che tracciano i loro antenati in queste regioni.
Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini
Per ulteriori info: The British Museum