giovedì, 28 Marzo 2024
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DOMESTICAZIONE DEL PAPAVERO DA OPPIO NELL’ARCO ALPINO GIA’ DAL 5500 a.C.

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Un tempo fiorivano campi di papaveri da oppio dove oggi si trova il garage sotterraneo del Teatro dell’Opera di Zurigo: attraverso una nuova analisi di semi raccolti in scavi archeologici, i ricercatori dell’Università di Basilea sono stati in grado di sostenere l’ipotesi che i coltivatori preistorici di tutto l’arco alpino abbiano partecipato alla domesticazione del papavero da oppio.

Sebbene oggi sia conosciuto come principale materia prima per realizzare l’oppio e i sui derivati oppiacei, il papavero è anche un alimento prezioso e una pianta medicinale. I suoi semi possono essere usati per preparare porridge e olio da cucina e, a differenza di tutte le altre colture precedentemente domesticate già nel sud-ovest asiatico, come alcuni legumi, alcuni cereali e il lino, gli studiosi ritengono che il papavero da oppio (Papaver somniferum L.) sia stato domesticato nel Mediterraneo occidentale, dove si presume sia stato progenitore del Papaver setigerum e dove cresce ancora oggi allo stato selvatico.

Utilizzando un nuovo metodo di analisi, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, i ricercatori delle università di Basilea e Montpellier sono stati ora in grado di rafforzare l’ipotesi che gli agricoltori preistorici che vivono nei villaggi montani dell’arco alpino abbiano iniziato a coltivare e utilizzare il papavero da oppio su larga scala già dal 5500 a.C. circa, contribuendo alla sua domesticazione.

Secondo Ferran Antolín, dell’Università di Basilea e dell’Istituto archeologico tedesco di Berlino, quando e dove il papavero da oppio sia stato domesticato è impossibile da determinare esattamente fino ad oggi perché sono mancati i metodi per identificare i reperti archeologici dei semi di papavero, né come piante domesticate, né come sottospecie selvatiche.

Ciò è stato ora ottenuto grazie a un metodo sviluppato dall’archeologa Ana Jesus come parte del suo lavoro di dottorato. Il metodo prevede la misurazione del numero di cellule e delle dimensioni e della forma del seme utilizzando l’analisi del contorno per catturare le sottili differenze tra le varianti domestiche e selvatiche.

I ricercatori hanno testato il loro metodo utilizzando 270 semi di un totale di nove specie di papavero (30 semi per specie) prelevati dalle collezioni di semi dell’Università di Basilea e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi. Questi test hanno dimostrato che la classificazione dei semi come variante selvatica o domestica del papavero da oppio era affidabile nell’87% dei casi.

Infine, il team ha applicato il metodo ai semi rinvenuti durante lo scavo archeologico del sito di palafitticolo, datato a circa 5.000 anni fa, del garage sotterraneo del Teatro dell’Opera di Zurigo. L’analisi dei semi di papavero ha mostrato che circa la metà era di forma selvatica e l’altra metà domesticata.

Secondo i ricercatore, due sono le possibili spiegazioni: gli agricoltori avrebbero potuto mescolare queste due varianti, oppure la continua selezione dovuta alla coltivazione ha portato il papavero da oppio selvatico a diventare gradualmente la variante che ora conosciamo come papavero da oppio domesticato.

Nel secondo caso, dunque, il papavero da oppio avrebbe avuto ancora semi selvatici quando è arrivato nell’Europa centrale e gli agricoltori, consapevolmente o inconsapevolmente, avrebbero contribuito ai cambiamenti nella dimensione e nella forma dei semi attraverso il processo di domesticazione.

A questo punto della ricerca, gli studiosi aspirano ad applicare il metodo ad altri reperti archeobotanici di semi di papavero sufficientemente ben conservati. L’obiettivo del team internazionale è ricostruire l’intero processo di domesticazione del papavero da oppio affinché sia possibile trarre conclusioni generali sulle piante usate dall’uomo e di identificare il ruolo svolto dalla coltivazione in regioni climatiche diverse dall’area di origine della pianta.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Università di Basilea

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