giovedì, 28 Marzo 2024
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DAL BELIZE CENTRALE, TRACCE DI UNA FIORENTE COMUNITA’ MAYA

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In una comunità agricola mennonita del Belize centrale, nei pressi della Manatee Forest Reserve, sono ancora visibili i resti di antiche strutture maya, nonostante gli anni di sfruttamento agricolo del terreno: I tumuli bianchi, i resti di queste case, punteggiano il paesaggio a perdita d’occhio, un ricordo di ciò che esisteva oltre 1.000 anni fa. Gli edifici crollati sembrano macchie su una fotografia aerea ma grazie a recenti campagne di scavo archeologico, è possibile dare un senso al funzionamento di queste abitazioni del passato.

Negli scavi di grandi estensioni territoriali, gli archeologi del Belize Institute of Archaeology, del National Institute of Culture and History e dell’University of Illinois Urbana-Champaign Research Board suddividono il terreno per effettuano le indagini su specifiche porzioni o realizzano saggi rappresentativi: in questo caso, grazie allo studio preliminare di remote sensing, si è individuato i settori dove scavare con la concreta possibilità di studiare uno specifico  quartiere maya del centro urbano.

Il quartiere indagato dipinge un interessante ritratto della vita nel primo periodo classico, che risale al 250-600 d.C. Osservando gli stili, le forme e la decorazione dei frammenti di ceramica rinvenuti è possibile determinare l’età di queste strutture. Le residenze standard hanno pareti e pavimenti rivestiti di gesso e una collezione di vasellame domestico adoperato per cucinare, servire e conservare. sono stati rinvenuti anche attrezzi agricoli fatti di selce e una serie di utensili che servivano per macinare il mais in farina.

Le famiglie vivevano e lavoravano qui, interagivano con i vicini e con il paesaggio circostante di campi e foreste. Studi antropologici confermano che i Maya erano rispettosi dell’habitat delle foreste grazie al rinvenimento di ossi animali di specie che potevano riprodursi solo nella foresta.

Uno degli edifici identificati, separato dal resto del quartiere, è un palinsesto architettonico: i Maya lo costruirono usando blocchi uniformi in pietra e intonaco, diverso dalla fattoria maya tipica. Oltra ai resti di numerosi manufatti, le pareti sono state realizzate con riempimenti di tipici oggetti in disuso: gli archeologi ritengono che possa trattarsi di un qualche tipo di edificio comunitario, magari per eventi o cerimonie, simile a una chiesa moderna o a un centro ricreativo dove tutti erano i benvenuti.

E’ stata identificata anche un notevole tumulo quale resto di una piattaforma che aveva quattro strutture alla sua sommità con altre strutture circondavano una piazza o cortile centrale, probabilmente abitazione di una famiglia d’élite.

Secondo i ricercatori, sia le famiglie elitarie che quelle di inferiore livello sociale che vivevano insieme in questo quartiere potrebbero aver investito nella costruzione dell’edificio comunitario tra le residenze circostanti. I reperti recuperati dal “centro sociale” erano di migliore qualità rispetto a quelli rinvenuti nelle abitazioni. All’interno della struttura è stato rinvenuto anche una sorta di ripostiglio con punte di selce. Questi oggetti richiedevano una grande abilità per essere realizzati ed erano tagliati in una selce non locale di più alta qualità. I Maya li realizzarono solo come forma di offerta rituale per animare o dotare la residenza di un’anima spirituale propria.

Nello studio di strutture e ai manufatti associati ai quartieri e ai centri comunitari, troppo spesso i Maya sono ricondotti ai soli materiali che hanno lasciati, sul nome attribuito al contesto, sul numero del tumulo, sul conteggio dei manufatti stessi, tralasciando le sensazioni della vita vissuta in questo luogo quasi 2000 anni fa: il fruscio delle foglie della giungla, lo stridere e la macinatura del mais, l’odore della cottura del mais e dei fagioli, le chiacchiere di un vicino che chiede in prestito uno strumento o chiede del tempo.

I danni provocati dall’agricoltura moderna all’archeologia e al patrimonio culturale maya, soprattutto in Belize, sono da non sottovalutare e resta sempre difficile spiegare ai lavoratori della terra che spesso i resti che attraversati dai loro aratri potrebbero cancellare definitivamente le vicende di un gruppo umano, di un popolo.

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Università dell’Illinois Urban-Champaign

Maya Belize

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