sabato, 20 Aprile 2024
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ALLA SCOPERTA DI TEBE: I TEMPLI DI MILIONI DI ANNI! seconda parte

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Vediamo nel dettaglio i templi di milioni di anni di cui sono rimasti resti archeologici degni di rilievo! E’ possibile leggere la prima parte in I TEMPLI DI MILIONI DI ANNI! prima parte!


II più antico fra questi è il tempio di Seti I a Qurna,: presenta un’organizzazione particolarmente chiara rimasta paradigmatica anche per quelli successivi. Tipica ne è la successione di due cortili, il primo dei quali connesso più specificamente con il sovrano fondatore e le sue imprese, il secondo interessato invece alle figurazioni del rito. Per il resto continua la presenza caratterizzante di un santuario per il predecessore e di un santuario solare scoperto, ambedue organicamente inseriti nella pianta dell’edificio. Il tempio è significativamente posto di fronte a Karnak e ha lo stesso nome dell’ipostila di quel tempio, “splendente è Seti nella casa di Ammon“, che del re è stata in parte opera.

Non lontano dalla sede prescelta per la costruzione sorgeva il tempio dedicato ai due sovrani dell’inizio del Nuovo Regno, Amenhotep I e sua madre Ahmose Nefertari, che in età ramesside sono diventate le tipiche divi­nità locali della necropoli. Così significativamente collocato rispetto agli dei, il santuario è riparato dal mondo da un muro di cinta in mattoni crudi. La sua particolarità, data dalle torri che sorgono a poco meno di duecento metri l’una dall’altra, vuole riprendere una certa torre di fortificazione che avevano le tombe della necropoli arcaica di Abido, la città santa di Osiride. In quella città, proprio Seti I ha innalzato monumenti insigni a testimonianza della sua predilezione per quella tradizione[13].

Dei due piloni del tempio non restano che elementi di fondazione in pietra e le masse dei torrioni in terra cruda sono scomparse. Essi erano connessi fra loro da una via originariamente fiancheggiata da statue e sfingi, ancora visibili nel secolo passato. Dalla seconda corte, la cui parete di fondo è un arioso porticato ancora in vista, si passava all’ipostila, rattrappita e oppressa da vari santuari ai quali deve dare accesso. Oltre quello di Ramses I e il santuario solare, nonché quello della barca di Ammon, si trovano presenti gli altri dei in una molteplicità di cappelle, tipiche per questi templi. Dietro il tempio sono collocati i magazzini che ricordano come questi templi siano stati non solo luoghi di culto, ma veri e propri centri economici[14].

E’ il figlio di Seti I, Ramses II, che ha lasciato il monumento più famoso dell’intera necropoli: il Ramesseo. Già nell’antichità ne abbiamo una descrizione minuta di Diodoro che lo chiama la tomba di Osimandia (una trascrizione greca del nome ufficiale di Ramses II, Usimara) mentre la designazione sotto cui il tempio è conosciuto oggi gli è stata imposta da Champollion.

Ramesseum, foto di Daniele Mancini
Ramesseum, foto di Daniele Mancini

La costruzione del tempio occupò all’incirca tutto il primo trentennio del regno di Ramses II, anche se si può constatare che verso il IV secolo a.C. parti importanti dell’edificio erano già smantellate. Esso sorgeva fra i due templi, oggi praticamente scomparsi, di Amenhotep II e Thutmosis IV con un chiaro intento di superare tutto quel che là era stato fatto fino allora[15]. La zona prescelta era in realtà già occupata da una necropoli del Medio Regno di cui si sono trovati solo i pozzi funerari poiché le eventuali sovrastrutture sono state spianate. Almeno altri due edifici erano sul posto e non potevano essere eliminati: uno era una cappella di culto di un principe figlio di Thutmosis I, Uadjmes, divenuto oggetto di un culto locale, e l’altro una cappella probabilmente connessa con il complesso funerario di Amenhotep II e detto “della Regina Bianca“, dalla splendida statua di una figlia di Ramses II e di Nefertari, Meritamon, rinvenuta da Flinders Petrie.

Se di questi monumenti ben poche sono oggi le tracce, è probabile che essi abbiano comunque in certo modo condizionato la collocazione del nuovo tempio. Questo era circondato da un complesso sistema di protezione generatosi dall’accumulo di scarichi dei più antichi scavi. Un canale e un porto presso il tempio, utilizzato per i trasporti del materiale, è testimoniato da documenti scritti su ostraka: un giardino e un lago sacro sono anch’essi testimoniati. Il tempio vero e proprio iniziava da un pilone che ancora leva le sue rovine e dietro cui si apriva il primo cortile[16]. Anche qui il primo cortile di questi templi è quello dedicato al re fondatore, ma di quanto presente nella pianta generica, non abbiamo oggi altro che vestigia. A fianco della porta centrale cui si accede per una rampa, giace il busto gigantesco di una statua regale in granito, che è divenuta quasi il simbolo del monumento. Il ricordo delle statue di Memnone di Amenhotep III non manca. Il secondo cortile è, invece, quello del dio. Le tre scale guidavano a tre porte di accesso alla ipostila che qui è fiancheggiata, da piccoli vani. Dietro l’ipostila si susseguivano minori camere a colonne da cui si aveva accesso, dalla sinistra, alla prevista cappella del padre terreno del re, Seti I, e dalla destra al cortile in cui doveva sorgere l’altare al dio Sole, che del re è il padre divino. Ma altro carattere hanno le decorazioni parietali. Sono certamente rilievi cultuali, ma sono più interessanti quelle che si rivolgono a un pubblico più vasto, e che commemorano le imprese militari del re[17]. Un tempio egiziano è un complesso che comprende più che un semplice e univoco luogo di culto. Quindi anche il Ramesseo era collocato fra altri elementi che ne completano la natura e il significato,come ad esempio il luogo della dea madre, un tempietto per la regina Nefertari, l’amplissimo insieme dei servizi di appoggio. Un tempio egiziano è un mondo sociale ed economico dove abita un personale numeroso e svariato, dove si svolgono attività artigianali e intellettuali di ogni genere, dove si custodiscono beni di ogni sorta, dagli alimentari, agli attrezzi e ai tesori[18].

Il tempio di Ramses III a Medinet Habu, vista dalla Description
Il tempio di Ramses III a Medinet Habu, vista dalla Description de l’Egypte ou Recueil des Observations et des Recherches qui ont étéfaites en Egypte» publié par les ordres de sa Majesté l’Empereur Napoléon le Grand à Paris de l’imprimerie Imperiale

Ancor meglio conservato di quanto non lo sia il Ramesseo è il tempio funerario di Ramses III a Medinet Habu. Esso è situato al margine meridionale di questa serie di monumenti e si inserisce fra quelli, oggi scomparsi, della fine della XVIII dinastia, occupando uno spazio dove sorgevano altri edifici di tipo civile che sono andati distrutti e un altro piccolo tempio: è questo il fulcro di una tradizione teologica che ci è nota soprattutto da testi tolemaici. Essa pone qui il luogo della “prima volta“, sede di rinnovamenti in successive forme di uno stesso dio che dapprima è il “colui che ha compiuto il suo tempo“, poi “colui che ha fatto la terra” e infine Ammon. La scelta dell’ubicazione risponde perciò a una precisa volontà politica e religiosa; ma, non solo: il tempio di Ramses III ricalca in modo assai preciso la pianta e la struttura di quello di Ramses II, il Ramesseo, nel quadro di una ostentata imitazione della figura del lontano predecessore che porta il nuovo re a dare ai suoi figli e ai suoi cavalli il nome dei figli e dei cavalli del più antico[19].

Come nel Ramesseo, anche qui abbiamo due cortili di accesso, corredato ognuno da un sistema di portici in cui pilastri osiriaci e colonne hanno la stessa posizione e lo stesso significato che avevano nel Ramesseo. Anche qui sul primo cortile si appoggia la reggia e, nel secondo cortile, si levano colossi ora scomparsi ed inoltre due cappelle sono riservate ai progenitori del re. Ma nel santuario insorgono differenze: nella cappella del padre del re è adorato Osiride, che è il re morto, come Horo è il re vivo; al termine del percorso c’è posto non solo per la barca di Ammon, ma anche per Mut e Khonsu, la sposa e il figlio con numerose cappelle e “tesori” che coprono esigenze diverse da quelle del modello[20].

Diversi, ovviamente, sono i temi delle celebrazioni di imprese militari: ormai i nemici non sono più quelli che minacciano l’impero, come ai tempi di Ramses II, ma quelli che incombono alla frontiera d’Egitto. Le vittorie sui libici e sui popoli del Mare sostituiscono quelle di Dapur e di Qadesh: ne riprendono, comunque, lo spirito e il senso, sia nel riferirsi a eventi specifici anche se stilizzati, sia nel gusto della rappresentazione aneddotica. In generale, la capacità di animare superfici e moli immense con accorgimenti strutturali non è dimenticata a Medinet Habu, dove le iscrizioni che ossessivamente coprono tutti gli spazi disponibili, divengono elementi non solo verbali e documentali, ma figurativi, con i grandi geroglifici che si affondano in modi e in dimensioni continuamente variati sulle pareti, sui pilastri, sugli architravi, dando vita alle sconfinate superfici che essi variamente occupano[21].

Il rilievo su una parete del tempio di Medinet habu in cui Ramses III, di fronte ad Ammon Ra, soggioga un gruppo di prigionieri
Il rilievo su una parete del tempio di Medinet habu in cui Ramses III, di fronte ad Ammon Ra, soggioga un gruppo di prigionieri

Dopo decine di anni di scavi clandestini, sfruttamento agricolo senza ritegno e incapaci opere di restauro, ora Medinet Habu è il monumento meglio testimoniato di tutto l’Egitto. Come nei templi funerari dalla fine della XVIII dinastia in poi, anche questo ha il suo palazzo reale. Putroppo solo la parte in pietra è visibile e solo alcune impronte lasciate sulle pareti del tempio cui esso si appoggiava ricordano le sue parti in terra cruda. Su questi pochi indizi, comunque, è stato possibile ricostruire la complessa storia del palazzo che in un primo momento ha ricalcato la pianta di quello del Ramesseo, ma è stato in seguito sostituito da un altro, analogo, ma assai più complesso. Da qui derivano le splendide decorazioni di mattonelle smaltate con figure di prigionieri stranieri; ma quel che è più da ricordare riguarda la struttura tecnica dell’edificio in cui un’anticamera a colonne portava sulle architravi che sormontavano queste ultime, una copertura a volta a botte. Molto poco ne resta oltre la pianta, in contrasto anche in questo con la situazione del Ramesseo. Ma molto più suggestiva che non in quello, è la vista del muro di cinta attorno al complesso, che include il tempio e due altre successive cinture. Quella che oggi si presenta in una suggestiva visione è un’opera colossale coronata da merli e protetta da un antemurale in parte coperto di pietra. La grandiosa distesa era probabilmente ravvivata da torri e interrotta da due solenni ingressi fortificati. Ne resta integro, per la nostra contemplazione, quello orientale, che fronteggiava la banchina del porto e il canale che giungeva al non vicinissimo Nilo[22].

Oggi tutti questi monumenti sono seriamente minacciati dall’innalzamento delle falde freatiche, conseguenza negativa della ricchezza agricola di Tebe; questo sta trasformando i templi memoriali in un accumulo di rovine ingombranti, sepolte in acque limacciose e cumuli di immondizia. Inoltre l’innalzamento della falda ha seriamente indebolito le fondamenta dei templi e ha trasformato le mura di mattoni crudi in fango[23].

Daniele Mancini

Note e per un approfondimento bibliografico:

[13] BONGIOANNI, A., Luxor e la Valle dei Re, VERCELLI, 2005, pp. 139-141

[14] DONADONI, S., Tebe, MILANO, 1999, p. 160

[15] WEEKS, 2001, p. 27

[16] BONGIOANNI, 2005, pp. 143-145

[17] Dalla replica della tradizionale illustrazione della battaglia di Qadesh, già presenti a Karnak e a Luqsor, al racconto della battaglia e della conquista di Dapur, in Siria, nell’anno ottavo, primo avvio allo scontro con il potere ittita

[18] DONADONI, 1999, pp. 161-169

[19] SILIOTTI, A., Egitto Templi Uomini e Dei, VERCELLI, 2005, pp. 204-210

[20] DONADONI, 1999, pp. 170-175

[21] PETRIE, SIR W. F., A History of Egypt, LONDRA, 1924, pp. 229-252

[22] DONADONI, 1999, pp. 176-181

[23] WEEKS, K. R., (a cura di), La Valle dei Re. Le Tombe e i Templi funerari di Tebe Ovest, VERCELLI, 2001, p. 29

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