giovedì, 28 Marzo 2024
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LA CROCIFISSIONE DEI ROMANI

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Il corpo di un uomo, rinvenuto nella sua sepoltura, nei pressi di Gavello (Venezia) nel 2007, mostra i chiari segni che la causa della sua morte sono da attribuire all’essere stato inchiodato a una croce di legno, il metodo utilizzato per l’esecuzione del Cristo di evangelica memoria.

La crocifissione, in ​​epoca romana, era una forma comune di pena capitale per criminali e schiavi e, con la nuova scoperta, è solo la seconda volta che sono state trovate evidenze archeologiche dirette.

Un nuovo studio sui resti scheletrici dell’uomo rivela una lesione e una frattura non cicatrizzata su una delle ossa del calcagno, suggerendo che i suoi piedi siano stati inchiodati a una croce.

I ricercatori delle Università di Ferrara e Firenze, autori dello studio, affermano che le loro scoperte non sono conclusive a causa delle cattive condizioni delle ossa e perché manca l’altro tallone. Non hanno trovato prove che il corpo fosse inchiodato dai polsi, il metodo comune di crocifissione romana descritto nei Vangeli.

I resti scheletrici di Gavello, a circa 40 chilometri a sud-ovest di Venezia, sono stati rinvenuti durante gli scavi archeologici di preparazione della posa di un oleodotto e i ricercatori hanno detto nel loro studio, pubblicato online il 12 aprile nella rivista Archaeological and Anthropological Sciences.

Insolitamente per una sepoltura di epoca romana, il corpo è stato deposto direttamente nel terreno, invece di essere collocato in una tomba. I ricercatori, inoltre, hanno eseguito test genetici e biologici sui resti, scoprendo che provenivano da un uomo di altezza inferiore alla media che aveva tra i 30 e i 34 anni al momento della sua morte.

La mancanza di corredo e la esile costituzione del defunto hanno suggerito che potrebbe trattarsi di uno schiavo denutrito, deposto senza le regolari cerimonie funebri romane, a completamento della punizione per i prigionieri giustiziati.

Secondo uno degli autori dello studio, Emanuela Gualdi, un’antropologa dell’Università di Ferrara, una frattura non consolidata all’osso del tallone suggerirebbe che un chiodo metallico sia stato spinto attraverso di esso, dall’interno verso l’esterno del piede destro, direttamente sul legno di una croce o su un poggiapiedi di legno attaccato a una croce.

Nella loro ricerca, Gualdi e i suoi colleghi confermano che i Romani hanno appreso la crocifissione dai Cartaginesi e l’hanno usato come una forma di pena capitale per quasi mille anni, fino a quando l’imperatore Costantino l’ha bandita nel IV secolo d.C.

Le crocifissioni romane sono state progettate per causare il massimo dolore per un periodo prolungato, i piedi e i polsi delle vittime venivano solitamente inchiodati a una croce di legno per mantenere dritti i condannati mentre subivano una morte lenta e agonizzante, spesso impiegando anche diversi giorni.

In quanto cruda, di solito veniva destinata solo per l’esecuzione di schiavi; i corpi venivano spesso lasciati sulla croce a marcire o essere mangiati dagli animali, ma in alcuni casi venivano rimossi e seppelliti.

Per quanto riguarda i resti di Gavello, non c’erano segni che l’uomo fosse stato inchiodato per i polsi; invece, le sue braccia potrebbero essere state legate alla croce con la corda, come nel caso delle brutali esecuzioni perpetrate nei confronti dei oltre 6.000 schiavi catturati dopo la rivolta guidata dal gladiatore Spartacus nel I secolo a.C.

Indubbiamente, la crocifissione più famosa è quella dell’uomo di Nazareth, presumibilmente avvenuta a Gerusalemme sotto il dominio romano, tra il 30 e il 36 d.C. Nessuna prova archeologica ha confermato quell’evento ma i resoconti biblici ed evangelici della crocifissione di Cristo sono un pilastro della religione cristiana e la croce è stata sempre un simbolo del cristianesimo nel corso della storia.

L’unico altro rinvenimento di resti di una vittima della crocifissione è stato nel 1968, durante uno scavo di tombe di epoca romana a Gerusalemme. In quegli scavi, l’archeologo greco Vassilios Tzaferis ha scoperto che un chiodo lungo ben 18 centimetri ha perforato l’osso del tallone di un uomo trovato in una delle tombe. Inoltre, l’unghia è stata trovata all’interno dell’osso, attaccata a un piccolo pezzo di legno d’ulivo, un frammento della croce di legno dove l’uomo è stato appeso per morire.

Gli studiosi che hanno studiato i resti di Gavello affermano che le vittime delle crocifissioni di epoca romana sono difficili da identificare a causa dello stato di conservazione delle antiche ossa e a causa delle difficoltà di interpretare scientificamente le ferite.

Secondo la Gualdi, le ossa con questi tipi di lesioni sono più difficili da conservare e difficili da riconoscere. Inoltre, i chiodi in metallo della crocifissione sono stati spesso recuperati da un corpo dopo la morte.

La sepoltura irregolare dei resti umani di Gavello presenta ancora molte domande: dall’interrogativo se l’inumato fosse un prigioniero o uno schiavo, alla effettiva marginalizzazione della sepoltura che indica che l’individuo sia stato ritenuto pericoloso o diffamato nella società romana, non degno degli onori delle cerimonie di inumazione.

 

Tradotto e rielaborato da Daniele Mancini

Per ulteriori info: Archaeological and Anthropological Sciences

 

2 pensieri riguardo “LA CROCIFISSIONE DEI ROMANI

  • Carla Mirenghi

    Carlo Daniele, leggo religiosamente le mail e vorrei proprio mettere un “mi piace” ma è impossibile: non ho una pagine Facebook. Ogni mail mi permettere di viaggiare per delle ore e ringrazio! Buon lavoro.

    Rispondi
    • Daniele Mancini

      Carissima Carla, è sempre un immenso piacere accogliere i commenti positivi. Grazie, grazie per leggermi

      Rispondi

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